IL CRISTIANESIMO ORIGINARIO – IL PAGANESIMO – IL CATTOLICESIMO

PARTE I –
IL CRISTIANESIMO ORIGINARIO

Come risolvono i problemi sociali i primi cristiani?
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INDICE DELLA PARTE I

Introduzione – Autorità o potere?
Vita sociale dei primi seguaci di Gesù
Punti base dell’ideale
Il sistema sociale
Sorgete, è ora di farvi valere!
Le persecuzioni contro i cristiani
Cristianesimo e religione
Cristianesimo e strutture
Il “Padre nostro”
L’essenza del messaggio sociale
Scheda sintetica della buona novella
Appendice – Documenti dei primi due secoli
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INTRODUZIONE

AUTORITA’ O POTERE?

Autorità e potere hanno, originariamente, un significato uno l’opposto dell’altro.
Autorità etimologicamente deriva da autore, colui che fa crescere gli altri, che è la base, ossia le fondamenta, su cui si accrescono gli altri. In altre parole autore è chi mette il suo sapere, le sue capacità al servizio degli altri per farli progredire in un’attitudine, in un campo dell’attività umana. Questo presuppone una società di “uguali”, vale a dire di persone con uguali diritti tra loro in ogni manifestazione della società.
Potere è, di contro, potere sugli altri e presuppone la sottomissione degli altri e la loro obbedienza. Ne deriva una società composta di “superiori”, quantitativamente una piccola minoranza al potere, e di “inferiori”, la grande maggioranza. In pratica una società di “ineguali” diritti, quindi con molti discriminati, dove solo pochi hanno la possibilità d’essere autori o di crescere.

Un sistema sociale è contraddistinto da due aspetti specifici, la possibilità di:
1 – decidere,
2 – disporre delle ricchezze e dei beni (oggi si può dire della finanza, dei capitali e della tecnologia avanzata).

Questi due aspetti sono interdipendenti, come le facce di una medaglia: chi ha il potere di decidere per gli altri ha anche la possibilità di accumulare ricchezze, chi ha la disponibilità di ricchezze può aumentare il suo potere decisionale.
In una società basata sull’autorità la possibilità di decidere per gli altri, per la comunità, spetta a tutti i membri della comunità stessa, in quanto tutti si considerano socialmente uguali, alla pari, quindi giuridicamente hanno gli stessi diritti. Ciò costituisce un formidabile strumento sociale di unione, di giustizia, di pace, di tolleranza, di libertà, di crescita civile, di ottimizzazione, di progresso, di sviluppo economico sostenibile. Tutti hanno la possibilità di essere autori e di crescere. Tutti i membri decidono sulla distribuzione della ricchezza in base alle necessità della comunità ed eventualmente in base alle necessità di altre comunità.
In una società basata sul potere la decisione comune spetta a pochi individui, i quali, per confermare il loro potere, sviluppano una struttura verticistica o gerarchica, assai onerosa, con persone e gruppi considerati superiori o inferiori e pertanto con discriminazioni di varia natura. La capacità di decidere appartiene ai ceti superiori, diritto che alla stragrande maggioranza degli individui è negato. L’aspetto economico mostra una concentrazione più o meno marcata delle ricchezze con conseguente stato di indigenza, rispettivamente, di larghi strati della popolazione o di sacche di questa.

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VITA SOCIALE DEI PRIMI SEGUACI DI GESÙ

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Una comunità, che dal punto di vista sociale costituisce le radici del sistema basato sull’”autorità”, è quella dei primi cristiani, nel periodo che va dal I al III secolo d.C. Il messaggio di Gesù segna una svolta in una grossa fetta del mondo, tanto da far iniziare l’era volgare dall’anno della sua nascita. Vediamone i punti salienti.

PUNTI BASE DELL’IDEALE

a) l’individuo in rapporto all’ideale

L’ideale, in Gesù, è Dio inteso come autorità d’Amore. Dio è il vero e unico nostro Papà, che ama l’uomo fino a donare il figlio prediletto, che traduce in vita la Sua parola, affinché l’umanità possa realizzare sulla terra una nuova realtà, la pienezza dei tempi e pertanto la sua salvezza. La relazione fra Dio e l’uomo è Amore, il loro rapporto è Libertà.
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NOTA: Gesù chiama Dio “Papà” (in aramaico si pronuncia “Abbà”) per indicare che nel campo sociale siamo tutti suoi figli e pertanto fratelli, e non lo chiama padre, come erroneamente è tradotto, che dà invece un senso di distacco e di deferenza.
Anche il nome “cristiani” è improprio: è assegnato per scherno dagli ebrei di Antiochia ai seguaci di Gesù, giacché questi ultimi vogliono instaurare il regno di Dio (il regno dell’Amore), e per deriderli li chiamano cristiani, nel senso di seguaci di un messia (cristo) fasullo, di un fallito che si proclama re dei giudei (in base alla motivazione della condanna fatta scrivere sulla croce da Ponzio Pilato). Pertanto è più corretto chiamare “gesuani” i seguaci di Gesù che vivono il messaggio originario, come qualche studioso suggerisce. Nel presente studio usiamo il termine “cristiani” sempre nel significato di “gesuani”.

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L’uomo è chiamato a vivere l’Amore in ogni momento della vita, mettendo da parte i suoi particolari problemi e se stesso, per essere solo Amore, che è donare senza chiedere nulla in cambio (si manifesta così la soluzione dei suoi problemi e la propria personalità – ndr): “non sono più io che vivo, è Lui che vive in me” afferma Paolo.
Per essere discepolo del Nazareno occorre cambiare mentalità: non sentirsi superiore agli altri, non cercare il potere di decidere sugli altri, non operare solo per i propri interessi o ricchezze personali (ossia dire no alle tre tentazioni nel deserto descritte dal vangelo). Occorre vivere per sé e per gli altri, alla pari, essere l’altro, senza imporre nulla, essere servizio d’amore vivo.
Il dolore stesso diventa strumento di amore: il momento in cui Gesù più soffre per la realizzazione del suo messaggio, durante la crocifissione, è anche il momento in cui egli più ama l’uomo. Riconoscere Gesù nel dolore (come riconoscere Gesù negli ultimi) è riconoscere l’amore nel dolore. L’amare, anche nel dolore, caratterizza il cristiano: “chi vuole essere mio seguace prenda la sua croce e mi segua e il suo peso diviene soave”. E la croce, ossia la condanna a morte, la può dare solamente il potere, sempre contrario all’affermazione del messaggio originario del Nazareno.
Il peso soave pur nella persecuzione, ad esempio, fa sì che i primi cristiani affrontino la morte nei circhi cantando uniti (ciò si può considerare anche una forma di resistenza nonviolenta – ndr): in quel momento sono Amore verso i loro persecutori, che restano sbalorditi e alcuni cambiano sistema di vita.
I cristiani vivono nella tranquillità dello spirito, applicando le parole di Gesù: “non state in ansia per il domani”, che ovviamente non significano non darsi da fare oggi per le cose di domani. Far bene nel momento presente è il migliore modo per preparare il domani, amare nel momento presente è il migliore modo per vivere le scritture.

b) il rapporto delle persone fra loro

Come conseguenza di Dio Amore, l’uomo ama il suo prossimo come sé e nell’altro vede la persona stessa di Gesù, il quale afferma: “qualunque cosa fate alla persona meno presa in considerazione, lo fate a me”. Coloro che sono i meno considerati (dagli altri o da me), i poveri, gli inferiori, gli emarginati, i bambini, gli apatici, gli ammalati, gli sfruttati, ecc., sono Lui.
Si badi che non si tratta di fare l’elemosina, ma di soccorrere Gesù vivo in quel malato, di dare aiuto a Lui in quello straniero senza cibo o coperte, di vedere Gesù in quella donna rifiutata da tutti: si tratta di un rapporto nuovo di un’importanza enorme. Se invece si giudica la persona ‘meno considerata’ per i suoi trascorsi o per com’è adesso, si rifiuta Gesù stesso.
Questo vale in particolare col nostro prossimo e significa vedere il positivo nell’altro, amarlo al di là di tutto, così com’è, non giudicarlo negativamente, anche in presenza di preconcetti verso di lui o di un suo comportamento diverso, cercarlo, non volerlo ‘convertire’, considerarlo alla pari, accarezzarlo col sorriso, mettere da parte in quel momento ogni proprio problema o programma o idea, ecc., fare il vuoto dentro di sé in modo da essere solo amore per l’altro, essere uno con l’altro. Il valore dell’uomo in quanto tale va al primo posto.
Il farsi uno è gioire con chi gioisce, piangere con chi piange, ascoltare fino in fondo chi ci parla, essere un dono per l’altro quando parliamo noi, comprendere l’altro, capire l’altro; è farsi giudeo con i giudei, romano con i romani, è morire per l’altro. Questo è (far) comprendere l’amore.
“Ama i tuoi nemici”, “fai del bene a chi ti fa del male” enuncia Gesù. Ciò comporta di amare per primi anche il “nemico”, che non è solo l’avversario militare o politico, ma anche chi ci fa dei torti, chi non ci saluta, chi non ha la nostra fede, chi non ha stima di noi. Chiunque incontra l’altro lo ama così com’è, col suo pesante fardello: e il peso condiviso diventa leggero.
“Infatti se amate solo quelli che vi amano, che merito ne avete? Non fanno così anche gli esattori delle imposte romane? E se date il saluto soltanto ai membri del vostro gruppo, che cosa fate di nuovo? Non fanno così anche i pagani?”.
E ancora: “si ha più gioia nel donare che nel ricevere”.
Di grande importanza è comprendere sino in fondo l’affermazione di Gesù: “chi non è contro di noi è con noi”.
Nei rapporti interpersonali è bene perdonare sempre. Quante volte? Settanta volte sette, risponde il Nazareno.
È nota la sua richiesta: “se ti ricordi che un tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono che stai offrendo all’altare e va prima a riconciliarti con lui, poi torna per l’offerta del tuo dono”. Da notare “se tuo fratello ha qualcosa contro di te”, pertanto anche “se tu non hai qualcosa contro di lui”.
“Chi non ama il proprio fratello che vede – aggiunge Giovanni – non può amare Dio che non vede”.
”Non giudicate, poiché come voi giudicate gli altri, così siete giudicati voi”. “Le scritture dicono di non uccidere, ma, ribadisce Gesù, pure chi dice “matto” o “scemo” al suo fratello merita di essere gettato nella geenna”.
“Vi chiamo amici, non servi”, non dovete essere sottomessi agli uomini, il rapporto è solo di amore, è essere amore. “Il regno di Dio è nel cuore dell’uomo”, egli afferma e non vuole altro che questo fuoco si accenda.
“A chi mi ama, io mi manifesto”: a chi ama il Maestro secondo il suo insegnamento, scopre una nuova realtà.

Il Nazareno fa una proposta di vita, che chiama la sua proposta, il suo comandamento nuovo, l’essenza del cristianesimo: “amatevi scambievolmente l’uno con l’altro come io amo voi, da questo siete riconosciuti come miei seguaci”. E Lui ama i suoi fino a dare la vita per loro. Tale tipo di Amore è il distintivo di riconoscimento dei veri seguaci e vale nelle grandi e nelle piccole cose.
A semplice titolo esemplificativo, vivendo la sua parola, senza finzione, non è più difficile salutare l’altro per primo, chiedere come sta, per conoscersi superare la ritrosia, perché questo è meno di dare la vita, la misura dell’amore di Gesù; oppure per un giovane – anche per un non giovane – offrire un maglione quando fa molto freddo, scegliere per primo il posto più scomodo per favorire l’altro, fare in modo da procurare un oggetto utile per l’altro che ne ha sentita necessità, accettare l’idea dell’altro perdendo la propria nel fare un programma, riconoscere il positivo nell’altro senza giudicarlo. Un altro esempio è dato da due fidanzati o sposi che si amano fino in fondo, oppure da due o più persone che vivono esplicitamente l’amore reciproco.

Tutto può essere un modo dell’essere pronti “a dare la vita” l’uno per l’altro: “non vi è amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici”. Ogni momento della giornata acquista valore perché si può riempire con l’amore, che è vivere il suo messaggio.
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NOTA: A proposito di amore scambievole vi è una leggenda coreana che in un certo senso aiuta a comprenderlo: narra di un uomo che muore meritando il paradiso. Un angelo è incaricato di condurlo sul posto, ma l’uomo gli chiede di poter vedere prima come è fatto l’inferno. L’angelo lo accontenta e ce lo porta. Qui egli vede dei grandi saloni con luci sfavillanti, specchi e cristalli bellissimi, lunghe tavole imbandite di ogni bene: i dannati seduti sui due lati dei tavoli hanno davanti, ciascuno, un piatto di riso squisito e lo devono mangiare con delle bacchette (sono le posate usate in estremo oriente) lunghe due metri, per cui non riescono a portare il cibo in bocca. Malgrado tutti gli arrovellamenti e i tentativi rabbiosi non ci riescono e soffrono una fame terribile.
A questo punto il nostro uomo è curioso di sapere come è fatto il paradiso. L’angelo ce lo accompagna e anche qui egli vede dei grandi saloni con luci sfavillanti, specchi e cristalli bellissimi, lunghe tavole imbandite di ogni bene: i beati seduti sui due lati dei tavoli hanno davanti, ciascuno, un piatto di riso squisito e lo devono mangiare con delle bacchette lunghe due metri, per cui non riescono a portare il cibo in bocca! Ma qui ogni persona con le sue lunghe bacchette imbocca quella seduta di fronte e lo stesso fa l’altra e tutti possono satollarsi ed essere felici, è l’amore scambievole.
Da notare che se solo alcuni più bravi aiutano altri, senza vicendevolezza, non sarebbe il paradiso pieno, reale, compiuto.

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Pertanto se io sono pronto a dare la vita per te, che è perdere anche il mio attaccamento, la mia abitudine, il mio preconcetto, il mio modo di vedere, ecc. per farmi uno con te, e tu fai lo stesso nei miei riguardi, diventiamo una cosa sola nell’amore: è l’unità fra le persone, rivelata da Gesù, che genera una realtà nuova tra noi, la quale ci fa sentire liberi, è ardore, è somma generosità, e ognuno può esprimere al meglio i suoi talenti nella collaborazione. L’amore reciproco porta spontaneamente, come conseguenza, la gioia in tutti i membri.
“Quando due o più sono uniti nell’Amore io sono in mezzo a essi” afferma Gesù. Quando due o più si amano davvero, vi è la presenza effettiva dell’amore fra loro, quindi vi è Gesù, e si percepisce: dove è Lui, cioè, vi è l’amore, vi è una realtà viva così forte che affascina le persone e opera direttamente, nelle case, nei punti di ritrovo, nei posti di lavoro, al mercato, nelle baracche, nelle aule della politica, nei bassifondi, per la strada. È clima di valore. L’amore scambievole è una presenza nuova che conquista.
Per generare questa presenza fra le persone pertanto bisogna essere almeno due o più, non è sufficiente una spiritualità individuale. Anche il segreto della gioia è di essere almeno due o tre nel rapporto di amore scambievole, senza attaccamenti (da soli non è possibile).
Il segreto dell’unità è amare pure chi non si fa uno con noi e amare qualsiasi dolore. In tal modo possiamo trasformare il dolore in amore.
*** Si sperimenta: se hai delle preoccupazioni personali o un dolore, ma in quel momento fai il vuoto dentro di te per farti uno con l’altro, dimenticando il tuo problema per amare solo l’altro – senza giudicarlo, senza lo scopo di convertirlo o di fargli cambiare idea – ti accorgi che anche il tuo problema magari si risolve, almeno in parte, o che anche il tuo dolore è alleviato (ndr).

Oggi si può dire che il modello ideale per generare Gesù è vivere Maria: l’unione nell’amore e nell’uguaglianza vale, la divisione nell’odio o nella discriminazione non vale nulla.
Gesù dichiara di essere Luce, Via, Verità, Vita. L’amore vicendevole fa acquisire agli appartenenti alla comunità una nuova luce nel comprendere le cose, trovare una via diversa attraverso la collaborazione e la condivisione, scoprire una verità pratica che ha valore universale per le persone, generare una vita mirabile nel rapporto reciproco.
Questo afflato, codesta armonia fra loro, facilita il manifestarsi dei carismi: quello dell’ispirazione, della comprensione, delle guarigioni, delle lingue, dei talenti di ciascuno.

L’essere uniti nell’amore fra loro e verso gli altri, questa realtà comunitaria, fa conoscere la nuova vita, fa gustare l’essere famiglia. Ciò che colpisce è l’Amore fra le persone: singolarmente esse sono quello che sono coi propri pregi e difetti, ma ciò che vale è il loro rapporto d’amore fraterno. E questo rapporto di amore reciproco i primi cristiani lo realizzano in questa Terra. È l’Amore che opera le conversioni. Uno scrittore dei primi secoli attesta: “i pagani, vedendo i cristiani come sono uniti nell’amore scambievole, comprendono e credono a loro”.
Viene in tal modo realizzata la parola di Gesù: “come tu, Papà, sei in me e io in te, siano anche loro una cosa sola nell’Amore, affinché il mondo creda”.

c) il rapporto comunitario

Nella vita ciascuno degli altri è una parte di noi. Poiché siamo tutti figli dello stesso Papà, siamo tutti fratelli, alla pari, compresi i socialmente ultimi, i minimi. Nell’insieme dei singoli formiamo un unico organismo in Gesù, analogamente ai tralci con la vite. Vale a dire che i membri di tutta la comunità, uniti nell’amore e nell’uguaglianza, costituiscono le cellule d’un corpo reale, anche se mistico, che È GESÙ STESSO.
Il Nazareno è contrario all’accumulo delle ricchezze da parte di alcuni pochi, ne fanno fede gli episodi del giovane ricco, di Epulone e Lazzaro, del possessore di tanto grano, del cammello e della cruna, ecc.: egli vuole fermamente che le ricchezze siano equamente distribuite fra i bisognosi in modo che non vi siano bisognosi nella comunità.
Gesù si autodefinisce continuamente “figlio di uomo”, affinché non si cada in astratti miti o formali devozioni – come fanno i pagani che divinizzano, riducendoli a mito, i personaggi – bensì vi sia amore concreto e giustizia vera.
Per quanto detto sopra, ciascuno può essere identificato con Lui: “qualunque cosa fate al minimo lo fate a me”. Ciò costituisce la misura del giudizio finale: “sono affamato e mi date da mangiare, sono ammalato e mi assistete, sono straniero e mi date ospitalità, sono perseguitato e mi proteggete, …”. Per tale motivo Paolo chiama tutti gli appartenenti alla comunità santi, ossia sacri, inviolabili.
La comunione dei santi ne è la conseguenza: sono messe in comune le proprie esperienze di vivere l’amore, sono liberamente messi in comune o venduti propri beni per dare direttamente strumenti di lavoro a chi si trova nell’indigenza o una paga dignitosa a chi lavora, tutta la comunità riunita prende in comune le decisioni che riguardano la comunità stessa e le varie necessità, tutta la comunità
elegge le persone più rispondenti a svolgere determinati servizi (presbiteri, diaconi, ecc.).
Il risultato è che la moltitudine dei credenti è un cuor solo e un’anima sola e fra loro non vi sono poveri.
Già da questi accenni è possibile comprendere il rapporto strutturale delle comunità iniziate da Gesù e dagli apostoli: questi ultimi hanno l’incarico, nell’unione con Dio, di suscitare e far crescere (sono l’autorità) la nuova vita nei posti ove risiedono o che visitano, e non hanno alcun potere di decisione sui singoli e sulle comunità. “Non bisogna obbedire agli individui” dichiara infatti Pietro “ma solo a Dio”, vale a dire all’Amore. E Paolo: “noi non padroneggiamo sulla vostra fede, ma siamo collaboratori della vostra gioia”. Ripetiamo le parole di Gesù: “vi chiamo amici, non servi”, non vi deve essere sudditanza.

Le decisioni sono prese da tutti i cristiani del luogo, assieme; molti passi del ‘nuovo testamento’ testimoniano della decisione ultima che spetta a tutta la comunità (vedere ad esempio i brani: Mt 18,17-18; Atti: 1,15-25; 6,2-6; 15,22; 11,22; 11,29-30; 15,4 e l’appendice di questo capitolo). Gesù difatti rifiuta nettamente gli schemi su cui si basano il potere ed i capi e svela: “in verità vi dico, OGNI COSA che la comunità tutta insieme approva sulla terra è approvata anche in cielo e OGNI COSA che essa abolisce sulla terra è abolita anche in cielo”.
Questo significa che ciò che decide la comunità tutta assieme è ciò che vuole Dio: è una realtà sociale nuova di una portata immensa. Solo instaurando questa struttura, che Gesù richiede espressamente ai suoi, possiamo generare un sistema di pace, di condivisione, di benessere generalizzato, di libertà, di tolleranza, di fratellanza universale, di giustizia, di collaborazione, di unità. Solo così la moltitudine è un cuor solo e un’anima sola e tra loro non vi sono bisognosi.
Essendo tutti figli dell’unico Dio, siamo tutti fratelli, con uguale dignità, pertanto ognuno ha anche la “dignità regale” di decidere, insieme, su ogni cosa che riguarda la comunità stessa.

Pertanto non esiste un gruppo ristretto di tipo gerarchico, di primi o superiori, sia pure “paterni”, che decidono per gli altri: “chi vuol essere il primo sia l’ultimo, sia il servo di tutti”. Non vi è posto per chi si sente superiore. Non esiste un gruppo dirigente che amministra a suo arbitrio le ricchezze. Non è richiesta una casta di “capi” e “sommi capi” (casta che col tempo diviene automaticamente un centro di potere, come nel campo civile, attrazione per arrivisti, ‘pescicani’ e corrotti – ndr), classe di potere che Gesù chiama “sepolcro imbiancato”, “nido di vipere”, “attori recitanti” (ipocriti), “generazione corrotta”, anche se gli appartenenti si autodichiarano, e per questo a maggior ragione, rappresentanti di dio.
Interessante è il nome di “generazione” che Gesù dà alla casta del potere. Ad esempio il vangelo di Matteo riporta: “alcuni farisei e scribi lo interrogano: Maestro, vorremmo che tu ci faccia vedere un segno. Ed egli risponde: una generazione perversa e corrotta pretende un segno! Ma nessun segno le viene dato”.
Egli arriva persino ad affermare che la pienezza dei tempi – la fine del vecchio mondo, retaggio di sottomissione, odio, divisioni, ingiustizie, guerre, sfruttamento, indigenza e la formazione di “cieli e terre nuovi”, che nell’accezione corrente è il paradiso – non avviene finché non scompare la generazione di capi e superiori: “in verità vi dico che non passa tale generazione prima che tutte queste cose (i segni premonitori del cambiamento) siano avvenute. Cielo e terra hanno un termine, ma le mie parole non hanno termine. Quanto poi a quel giorno o a quell’ora, nessuno li conosce”.
È da mettere in rilievo che Gesù condanna sempre non le singole persone appartenenti al gruppo di potere, bensì la casta dei “superiori” in se stessa, vale a dire la struttura gerarchica in sé. Attenzione! Gesù dice che questa casta è un covo di vipere e di attori recitanti: non bisogna mai confondere come opera del popolo l’opera delle strutture logoranti del potere.
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Ai cristiani non occorrono edifici né per il culto (Atti 7,48) né per ospitare organi gerarchici dirigenti, che tra l’altro assorbirebbero molto personale e quasi tutto il reddito destinato agli indigenti (al giorno d’oggi la cifra assorbita dalle strutture degli Enti così organizzati, anche nel campo civile, si aggira sull’80-85% del totale delle loro entrate – ndr).
Gli apostoli invero proclamano: “stando uniti al Signore, pietra viva, anche noi (cioè i seguaci di Gesù) siamo occupati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” e “noi siamo il tempio del Dio della Vita”. I primi cristiani costruiscono una struttura nuova, viva: la struttura dell’autorità della comunità, una cattedrale di pietre vive, la quale rende idonea la comunità tutta ad approvare o respingere ogni cosa che riguardi la comunità stessa.
Difatti Paolo per indicare ciascuna comunità cristiana usa sempre il termine “ekklêsia”, che è l’incontro del popolo riunito (dêmos) per decidere sulle esigenze della città. Non ha altri significati. Conferma il teologo José Comblin: “ekklêsia” deve tradursi proprio con “democrazia”, dove tutti sono alla pari, tutti possono parlare, tutti possono prendere parte alle decisioni prese dalla comunità, senza capi che comandano. È l’avvento della libertà, il nucleo di un popolo nuovo, di una nuova umanità. Le comunità non si riuniscono per celebrare un culto, per praticare una religione, ma per vivere l’amore vicendevole nella fraternità di un popolo di uguali. Stare insieme è la ragione di questi incontri”.
Per tali motivi i cristiani non hanno bisogno di costose cattedrali di pietra o di mattoni (che sottraggono molto denaro alla comunione dei beni), loro d’altronde possono incontrarsi ovunque.
Non sono venerate statue di marmo né effigi di legno o d’altro materiale, loro vivono l’amore per l’altro, non per le effigi.

Nel “nuovo testamento” viene condannato severamente il giuramento (anche il “voto” è un giuramento solenne): “sia riguardi il cielo sia riguardi la terra, esso proviene dal male”, ripete più volte Gesù. Per lui il male sociale è il potere che sottomette.
È considerata sciocchezza dedicare alcuni periodi del calendario alla festa e altri alla penitenza: Dio è il Dio della Vita, quella e solo quella che viene vissuta dall’amore reciproco e dall’amore verso gli altri, nelle piccole e nelle grandi cose di ciascun giorno.
I cristiani amano la nazione altrui come la propria e non si sentono di appartenere a una nazione particolare, ma al “regno dell’Amore”, dove vige l’amore vicendevole e l’uguaglianza di tutti nelle decisioni (è la dignità regale).
Le regole, le leggi, le istituzioni sono per favorire l’uomo e non perché l’uomo sia succube delle regole o delle leggi stabilite dal potere: “il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”. Il rispetto dell’uomo, chiunque sia, è di valore primario, è più importante dei precetti e delle tradizioni. L’amore verso il prossimo supera le regole. Contestata è anche l’istituzione, disumana contro le donne, del ripudio.
Dio è la pienezza dell’Amore. Ai cristiani non occorrono né sacrifici né sacerdoti. È da stolti offrire le cose migliori a Dio, come se questi ne abbia bisogno: Egli stesso le fornisce a coloro che credono di offrirle a Lui! Dio non ha bisogno di uomini rappresentanti di Lui (vale a dire del clero, tanto è vero che i sommi sacerdoti di Gerusalemme, intuendo nel Nazareno un grave pericolo per il loro potere, cercano ogni appiglio calunnioso per farlo condannare a morte), ma alberga in tutti i cuori. Gesù riassume ogni ruolo sacerdotale col sacrificio di sé e pertanto investe del sacerdozio, vale a dire della dignità di fare cose giuste nell’amore, tutti i suoi seguaci, dignità che Paolo ora chiama “regale”.
Costoro, i cristiani, si ritrovano insieme il più possibile nei posti sia pubblici sia privati, dimorano in abitazioni come quelle degli altri, si sposano come chiunque, hanno un solo coniuge – è esclusa cioè la bigamia sia pure intesa come concubinato – generano figli e non li picchiano né abbandonano i neonati (“qualunque cosa fate a un bambino lo fate a me”), tutti nelle loro case durante la cena, il normale pasto di ciascuno di noi, “spezzano il pane” in memoria di Gesù, uniti nell’amore reciproco, che genera un’atmosfera nuova: l’Amore presente in mezzo alle persone e la gioia nel cuore.
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NOTA: Come il pane, una volta mangiato e digerito, diventa il corpo che nutre, s’identifica cioè con la persona stessa che lo mangia, così noi, durante il desinare assieme agli altri (come nell’’ultima cena’ con Gesù), quando spezziamo il pane per nutrirci, facciamo memoria che anche noi abbiamo da identificarci con Gesù, perché ci si ami l’uno con l’altro come lui ama noi: questa atmosfera fraterna genera la presenza dell’Amore e porta la gioia.
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IL SISTEMA SOCIALE

Con l’analisi del sistema sociale realizzato dai primi cristiani in conformità all’insegnamento di Gesù, scopriamo la relazione stupefacente, e per il potere sconvolgente, che vi è fra democrazia e cristianesimo.
Maria, e qui si rileva la grandezza del messaggio sociale lanciato da questa donna, una vera rivoluzionaria, dichiara nel ‘magnificat‘ del vangelo di Luca:
Iddio, la piena Autorità d’Amore, …
disperde chi si ritiene superiore,
rovescia i potenti dai loro seggi,
innalza quelli considerati ultimi,
ricolma di beni i bisognosi,
rimanda a mani vuote i ricchi
”.

Suo figlio realizza tutto ciò attraverso le comunità (non gerarchiche) iniziate da lui o dagli apostoli: in che modo?

 Come disperde chi si ritiene superiore?
Poiché siamo tutti fratelli, tutti uguali, e il nuovo sistema di vita – che riassume le leggi e i profeti – è l’amore scambievole, non vi è posto automaticamente per coloro che si ritengono superiori agli altri, per chi vuole discriminare persone o gruppi.
Nella parità e nell’amore reciproco non vi è né ebreo né straniero, né libero né schiavo, né maschio né femmina, né adulto né bambino, né bianco né nero, né istruito né analfabeta, né sano né malato, né sposato né eunuco, né ricco né povero, né bello né brutto, né praticante né inosservante. Tutti partecipiamo della stessa Vita portata da Gesù, nella diversità, la quale diventa un dono l’uno per l’altro: “non fate i superiori (né come individui né come istituzione), poiché uno solo è il vostro superiore, Dio piena Autorità d’Amore, e voi siete tutti fratelli”, rivela Gesù.

 Come rovescia i potenti e innalza gli ultimi?
Realizzando un sistema sociale dove tutti gli appartenenti alla comunità prendono le decisioni riguardanti la comunità stessa (è la struttura istituzionalizzata dell’autorità della comunità) ed eleggono direttamente le persone più idonee alle varie mansioni. I presbiteri hanno la funzione di far crescere in siffatta vita, non decidono per gli altri, è puro servizio, così Pietro è la “pietra” su cui si edifica e cresce la comunità, egli è cioè l’autorità (nel senso etimologico del termine).
In questo modo non ha possibilità di attecchire il singolo o il gruppo che vuol decidere per la collettività e nello stesso tempo anche gli ‘ultimi’ possono decidere alla pari su ciò che riguarda tutti.
È il PUNTO CRUCIALE!. Infatti Gesù è contrario a ogni forma di potere gerarchico e proclama: “i capi delle nazioni, lo sapete, decidono su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere, tra voi questi NON ci devono essere”.
Ma allora potremmo domandarci: se non ci devono essere capi né “superiori”, chi è che decide? “In verità vi dico, risponde Gesù, OGNI COSA che la comunità riunita insieme approva sulla terra è approvata anche in cielo e OGNI COSA che essa respinge sulla terra è respinta anche in cielo” (IN TERMINI MODERNI È LA DEMOCRAZIA DIRETTA ‘POLITICA’, CON DECISIONI PRESE DA TUTTI IN TEMPO REALE).
È la realizzazione delle parole di Gesù: ‘gli ultimi sono i primi’.
Conferma la “lettera a Diogneto”, un documento del I-II secolo d.C. estremamente interessante: “i cristiani testimoniano un ammirevole sistema di vita sociale”.

 Come ricolma di beni i bisognosi e rimanda a mani vuote i ricchi?
Gli appartenenti alla comunità continuano a svolgere il loro lavoro e le loro attività e mettono a disposizione direttamente una parte dei proventi o dei beni (tramite incaricati eletti appositamente da tutta la comunità assieme, la quale altresì ne controlla l’efficacia) dando a coloro che si trovano nell’indigenza la possibilità d’iniziare un’attività lavorativa, anche in proprio: quasi tutti, coi loro guadagni che ne conseguono, possono restituire il denaro. Non sono richiesti interessi. A chi già lavora, ma ha una paga insufficiente o nulla, viene data una paga dignitosa. A tutti coloro che lavorano è data la possibilità di una mensa.
Non è beneficiato della mensa e della comunione dei beni chi non ha voglia di lavorare (“chi non vuol lavorare non mangi”, esplicita Paolo) né c’è la collettivizzazione della proprietà o del lavoro: denaro e beni NON passano attraverso un organismo gerarchico che li gestisce a propria discrezione. Con questa soluzione la moltitudine è un cuor solo e un’anima sola e non vi sono bisognosi fra loro (IN TERMINI MODERNI È LA DEMOCRAZIA DIRETTA ‘ECONOMICA’). Nel caso di gravi difficoltà economiche della collettività d’un territorio, le altre mettono in comune con essa il loro sovrappiù.
È la soluzione dei problemi sociali: ”i cristiani testimoniano, ripetiamo, un ammirevole sistema di vita sociale”.

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 Perché PUNTO CRUCIALE? Il sistema sociale portato dal Nazareno e da Maria è quello che più spaventa coloro che tengono in pugno le leve del potere: dove esso si attua, sgretola automaticamente le strutture aberranti create dai potenti, rovescia cioè i loro “seggi” o “troni” o “poltrone”, non con armi e azioni cruente, bensì con la validità e la bontà delle sue stesse realizzazioni e col rifiuto nonviolento dell’istituzione verticistica centralizzatrice del potere (che è “covo di vipere”, sede di “attori recitanti” e “sepolcri imbiancati”, “generazione corrotta”, stando a quanto Gesù sostiene).
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SORGETE, È ORA DI FARVI VALERE!

Da questa testimonianza di vita sociale scaturiscono le notissime ‘beatitudini’, le quali sono invero una vibrante esortazione del Maestro a sviluppare ADESSO, con fermezza, i valori che hanno le persone al fine di raggiungere la pienezza dei tempi, di concretizzare l’autorità dell’Amore e dell’Uguaglianza.
Difatti il potere impedisce che i valori socialmente validi si diffondano; se non vi riesce, cerca d’imbrigliarli nella propria struttura gerarchica, rendendoli praticamente poco efficaci o nulli.
Da qui la necessità del discorso sulla montagna, rivolto da Gesù ai suoi seguaci dinanzi a una folla di migliaia di persone che si reca colà per ascoltarlo. Realizziamo il suo messaggio e ADESSO (su questa Terra) risolviamo i problemi sociali. Ecco il discorso sulla montagna:

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi poveri, perché avete il modo di realizzare la comunità dell’Amore, della solidarietà.

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi che soffrite la fame, perché avete il modo di realizzare la giustizia sociale.

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi che siete sfruttati e sottomessi, perché avete il modo di realizzare la libertà.

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi che unite nella pace, perché avete il modo di essere riconosciuti espressione dell’Amore.

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi che avete comprensione verso gli altri, perché avete il modo di realizzare un mondo nuovo, il regno della tolleranza.

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi che avete il cuore senza attaccamenti o condizionamenti o doppi fini, perché avete il modo di vivere essendo Amore.

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi che siete gli ultimi, perché avete il modo di realizzare la struttura dell’uguaglianza.

Sorgete, è ora di farvi valere, Voi perseguitati, insultati, cacciati via, derisi, odiati a causa delle attuazioni del mio messaggio, perché avete il modo di realizzare una società nuova.

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Gesù invita a parlare delle attuazioni che sgorgano dal suo messaggio a ogni crocicchio di strada, alle folle, dappertutto. La Vita che il cristianesimo porta è comunione, poiché comprende in sé UNO STRUMENTO FORMIDABILE: le decisioni sono prese insieme da tutta la comunità e questa ovviamente non vuole né oppressione né indigenza al suo interno.
Per il Nazareno e per i primi cristiani il male, nel campo sociale, è il potere di ogni tipo, economico, politico, religioso, ecc., con la sottomissione e le ingiustizie che ne derivano: “venite a me, voi che siete umiliati dalla fatica e oppressi (a causa delle strutture logoranti del potere), io vi porto la liberazione da ciò, vi porto la salvezza”.
Gesù afferma di venire per gli afflitti dal male dell’assoggettamento, non per i ricchi soddisfatti di sé, e offre loro una medicina nuova, l’autorità della comunità, che permette loro la guarigione.
Egli trasforma così il dolore in amore, pertanto anche noi possiamo trasformare il dolore in amore: “abbiate fiducia, io vinco il potere del mondo!”.
A quei tempi, e successivamente, attuare la democrazia portata da Gesù significa per i cristiani venire crocifissi. E per questa ragione di Vita, per questa Libertà sociale e individuale, per la realizzazione della Giustizia, della Pace e della Democrazia, i primi cristiani subiscono come Lui, da parte dei superiori gerarchici e dei potenti che considerano tutto ciò grave e preoccupante per loro stessi, la persecuzione e la condanna capitale. Ma da questo siamo riconosciuti come suoi discepoli, è il distintivo di riconoscimento dei suoi seguaci: se, rischiando di prendere la croce con cui il potere vuole penalizzarci, realizziamo il sistema di vita sociale portato dal Maestro.

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LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI

Gesù è la principale vittima, il trofeo più illustre della pena di morte comminata dal potere. I capi della religione lo considerano un caso grave, pertanto lo accusano di empietà e lo consegnano, richiedendone il supplizio della croce, al potere secolare. Questo a sua volta, non avendo in base alla legge romana dei motivi validi, lo processa e lo condanna per … aspirazione al potere, accusandolo di volersi incoronare re: proprio lui che lotta sempre contro la casta dei superiori e il loro ordine! I suoi seguaci, i cristiani, sono perseguitati dapprima dai CAPI religiosi giudaici e più tardi dai CAPI politici di Roma. Da notare che non scriviamo “dal popolo”, ma “dai capi”, poiché soltanto questi e i loro collaboratori li ritengono un pericolo per le istituzioni gerarchiche.
I seguaci di Gesù, se non fanno atto di venerazione ai sommi capi, vanno eliminati, definendoli per l’occasione “empi”, “atei” o, in seguito, “eretici”; in altre parole individui comunque pericolosi, in quanto che non si adeguano alle dottrine del dominio, anzi le superano attuando il messaggio.

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L’ASSASSINIO DI GESÙ.
Il prefetto della Palestina, Ponzio Pilato, rappresentante dell’imperatore romano, non vorrebbe condannare il Nazareno in quanto, sulla base delle informazioni ricevute dai suoi relatori (e dalla moglie), egli lo ritiene un giusto, consegnato a lui soltanto per beghe religiose locali e soprattutto dal rancore dei sommi sacerdoti. Questi infatti vogliono vendicarsi di Gesù che li definisce covo di vipere, ipocriti recitanti, generazione corrotta e poiché realizza una società senza superiori, neppure clericali, dove le decisioni spettano a tutta la comunità assieme, essendo gli uomini fratelli, alla pari, uguali, figli dell’unico Dio. Costui pertanto ha grande seguito tra la gente, parecchi lo ritengono il messia, ed esiste il pericolo che il popolo lo proclami re dei giudei, affinché lo liberi dalla dominazione di Roma: in questo caso la potentissima macchina bellica dell’impero interverrebbe, operando uno spaventoso massacro sia dei giudei sia dei loro capi, per cui è meglio che muoia un uomo solo che tanti.
“Non vuole dei capi che esercitino il loro potere e che decidano per tutti. Cosa intende dire con questo? Significa che vuole erigersi LUI a capo, vuole proclamarsi LUI re dei giudei, e molti della plebaglia l’osannano appunto come tale! Ma noi abbiamo già il nostro re, è l’imperatore Tiberio, e se tu, Ponzio Pilato, non condanni a morte costui, ti accusiamo a Roma davanti a Cesare di lasciare libero un sovversivo che vuole usurpare il suo trono qui in Palestina”.
Pilato non ritiene pericolosi per l’impero né Gesù né la sua comunità, essendo questa una realtà non violenta e soltanto locale, ma ora ‘per ragioni di Stato’, o più precisamente per non avere grosse rogne, deve condannare il Maestro. Nondimeno gioca un’ultima carta per salvarlo (stando ai vangeli canonici, ma non è confermato dagli storici, vedere nota sotto): ripristina l’usanza di liberare un carcerato, scelto dalla piazza, in occasione della festa di pasqua. I sommi capi del clero fanno subito accorrere sullo spiazzo davanti al tribunale le guardie del tempio e tutti i loro dipendenti prezzolati, occupando in tal modo completamente il cortile del palazzo – contenente circa 200 persone – per sobillare e gridare a squarciagola incessantemente che sia libero Barabba, un ribelle ebreo, e crocifisso Gesù.
Il prefetto a questo punto se ne lava le mani [ma non la finisce lì con i sommi sacerdoti] e fa immediatamente condurre il Nazareno al patibolo con l’accusa di proclamarsi … re dei giudei (Roma stabilisce la pena della crocifissione sia per i sovversivi nei confronti dell’impero sia per gli schiavi che cercano di emanciparsi). L’evangelista Luca conferma in proposito: “i sommi sacerdoti e i nostri capi lo consegnano per farlo condannare a morte e poi lo crocifiggono”. Lungo il percorso e sul Calvario Gesù è schernito da tutti i capi del clero e da alcuni dei soldati presenti, mai dal popolo!

Quanto sopra su Pilato, stando ai vangeli canonici, ma non è confermato dagli storici. Difatti il filosofo giudaico Filone di Alessandria (20 a.C.-50 d.C.) all’imperatore Caligola così descrive Ponzio Pilato: “un tiranno corrotto, avido e insensibile alle ragioni della giustizia. Orgoglio, prepotenza e insolenza è la sua regola … sotto di lui la gente viene uccisa senza rispetto di alcuna legge”.
Anche lo storico Giuseppe Flavio (37-103 d.C.) ne parla in modo negativo, come un capo brutale e privo di qualsiasi comprensione nei riguardi della religione ebraica.
Il Nazareno, col suo “tra voi non ci devono essere capi o potenti” e “in verità vi dico che qualunque cosa la comunità tutta assieme approva sulla terra è approvata anche in cielo”, è un caso gravissimo di rifiuto del sistema di potere assoluto e verticistico vigente in quei tempi.
Inoltre non vi è alcuna usanza ebraica, né ora né allora, di liberare un prigioniero per la Pasqua.
In effetti Gesù, arrestato nella notte, è consegnato al prefetto romano con la falsa accusa di dichiararsi re dei giudei, ed è immediatamente condannato a morte, torturato e incoronato per scherno con una corona di spine conficcate in testa. Pilato, per deriderlo maggiormente, fa porre sul legno un cartello con la motivazione scritta: “COSTUI È GESÙ, IL RE DEI GIUDEI” (secondo la tradizione ebraica il Cristo, cioè il Messia, sarebbe diventato re, per cui costui è un messia mancato, cioè è un cristo fasullo). Alle nove del mattino il Maestro già sta inchiodato alla croce e muore dopo circa sei ore d’atroce agonia.
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La ragione di tanto accanimento nelle persecuzioni può essere spiegata dal fatto che adorano il loro Dio? Assolutamente no! Il loro Dio è lo stesso di quello degli ebrei, mentre i romani ne adorano oltre quattrocento e uno più o uno meno non ha per loro alcuna rilevanza. A Roma non sacrificano all’imperatore né gli ebrei né i cristiani, ma solo questi ultimi da Nerone in poi sono di frequente perseguitati. Agli ebrei, già prima di Nerone, è permesso il culto al loro unico Dio in tutto l’impero ed è concesso l’esonero dall’assistere ai giochi che si svolgono in onore del divino imperatore; a volte essi subiscono delle repressioni o vengono temporaneamente cacciati da Roma in seguito a tumulti, mentre i cristiani sono da svariati monarchi condannati al genocidio di massa.
Il dio (dei potenti) è soltanto il motivo giuridico, la scusa morale, per accusare coloro che seguono Gesù di essere atei o pervertitori pericolosi. Al Dio della vita si contrappongono i princìpi (o i prìncipi) della morte; al Dio dell’amore scambievole e degli ultimi si contrappone il dio del potere e dei superiori. I primi cristiani accettano nelle loro comunità la diversità di funzione, espressione della parità, non accettano MAI la diversità gerarchica, espressione della sottomissione.
L’imperatore Diocleziano scatena contro di loro una delle più violente e sistematiche persecuzioni (per avere la certezza di annientarli tutti fa uccidere anche gli ebrei non cristiani), essendo a ragione convinto che il messaggio del Nazareno mina la struttura stessa dell’impero.
Difatti Gesù valuta del tutto negativa l’istituzione gerarchica, che si basa su un’organizzazione superiori/inferiori, mentre suscita comunità con strutture di autorità, basate sull’uguaglianza, idonee alla crescita delle persone, ove la decisione ultima spetta a tutti, anche agli ultimi: “i capi delle nazioni, lo sapete, decidono su di esse e i “superiori” esercitano su di esse il potere; tra voi NON deve essere così, ma IL SERVO È PER VOI IL SUPERIORE, L’ULTIMO SCHIAVO È PER VOI IL CAPO”, dichiara esplicitamente.
Questa Verità concretizzata, tale Libertà, non può essere accettata dai potenti del “mondo”, siano essi romani o ebrei o sedicenti cristiani o qualsivoglia.

D’altra parte la popolazione è affascinata dalla bellezza dell’essere una cosa sola nell’Amore e scopre che una struttura sociale affrancata dai ‘potenti’, dove tutti realmente sono alla pari, e per questo tutti insieme prendono le decisioni, genera un sistema di pace, di condivisione, di giustizia autentica, di libertà, di unità, di comprensione, di grande collaborazione, di manifestazione di talenti e carismi, di maturità responsabile, di progresso. È essere tutti una grande famiglia, è realizzare la fratellanza universale, la quale, senza la comunione delle decisioni nel clima dell’amore scambievole, non è possibile realizzare. E aumenta la moltitudine dei credenti.
Il magnificat è il messaggio sociale del cristianesimo (con termine moderno potremmo parlare di ‘autorità diretta del popolo’ – ndr): quando Luca riporta nel vangelo l’annuncio diffuso da Maria, sono già costituite varie comunità di cristiani sia in Palestina sia in molte altre nazioni, dimostrando che le “beatitudini” corrispondono a verità e sono attuabili.
Da qui le persecuzioni: prima operate dai sommi sacerdoti di Gerusalemme, quindi dai sommi capi dell’impero di Roma e poi da quelli successivi. In realtà la rivoluzione nonviolenta iniziata da Maria mette paura ai “superiori” di tutti i tempi, i quali cercano in ogni maniera di schiacciarla o metterla nel dimenticatoio: non per nulla il re di Francia Filippo il Bello vieta nel suo regno la lettura del magnificat.
Questa rivoluzione però non si esaurisce, continua anche al giorno d’oggi a lievitare ogni popolazione, prevalentemente quella laica, nei modi più impensati. Nel campo socio politico un effetto di tale lievito sono le conquiste democratiche degli ultimi secoli, inimmaginabili nei paesi o nelle organizzazioni che ancora non recepiscono il messaggio sociale trasmesso da Gesù.

CRISTIANESIMO E RELIGIONE

Il cristianesimo non è una religione, intesa nel senso classico – caratterizzata in genere da regole o precetti, cerimonie e simboli, riti formali, sacrifici e costrizioni, osservanza di periodi di calendario, sublimazioni individuali, lunghe orazioni, pie pratiche a orario, venerazione di personaggi o di immagini – bensì è la vita normale, concreta, di tutti i giorni, realizzata fra le persone in un rapporto d’Amore essendo Amore, esperienza comunitaria tra fratelli, alla pari, nella libertà spirituale e sociale, senza discriminazioni individuali o collettive. Possiamo dire che il cristianesimo originario è la religione dell’Amore, che tutti possono vivere sia gli ebrei sia i pagani, sia i bianchi sia i neri, sia cittadini del nostro Paese sia i cittadini degli altri Paesi. Non chi assolve adempimenti esteriori o recita lunghe formule, cioè non chi dice “Signore, Signore!”, ma chi è amore, chi fa, ossia chi realizza il messaggio originale di Gesù, fa la volontà di Dio.
La vita secondo lo Spirito viene sostituita, dal potere, con la religione fatta di regole, atti e tradizioni rituali; ma quella vita è reale, naturale, libera, non può essere trapiantata in vecchie strutture gerarchiche, poiché verrebbe denaturata, ne sarebbe soffocato lo spirito originario di Gesù: “non si può mettere il vino nuovo negli otri vecchi, altrimenti questi non reggono e il vino si disperde; il vino nuovo va messo in otri nuovi e così l’uno e gli altri si mantengono”.
Egli si scaglia veementemente contro i gruppi di potere, definendoli ipocriti, attori recitanti, quando vogliono far credere agli altri, anche imponendolo, che le loro regole, strutture, atti ingiusti o infami siano buoni e vengano da Dio, e condanna, senza alcuna possibilità di perdono, il peccato contro lo Spirito, ovvero quando fanno credere perversi, anche vietando e impedendo che abbiano un seguito, le ispirazioni, le azioni, i rapporti o le strutture che provengono dalla Verità di Dio Amore.

CRISTIANESIMO E STRUTTURE

Da quanto finora illustrato possiamo affermare che il realizzare strutture socio politiche cristiane in uno Stato o in una zona non è creare una religione di Stato, non è imporre il battesimo obbligatorio, non è fondare organismi gerarchici o costruire templi materiali, non è l’esposizione di effigi, ma è, ed è condizione essenziale, il rendere possibile in modo compiuto che le decisioni socio politiche, di qualsiasi genere, siano prese da tutti i cittadini, comunitariamente, in modo vincolante, senza discriminazione di alcuno, qualunque ne sia il ceto, la razza, lo stato civile, il sesso, la religione, il partito politico, il reddito, il grado d’istruzione, ecc. È rendere possibile un’equa distribuzione della ricchezza prodotta, è realizzare le strutture per una democrazia completa a decisione diretta.
Va messo in evidenza che Gesù è storicamente il primo a propugnare una democrazia nuova, sia politica sia economica, a decisione comunitaria, dove tutti sono alla pari (essendo tutti figli dell’unico Padre) e protagonisti nella varietà, e a rivelare inoltre che l’essenza della nuova vita è l’amore scambievole, che genera l’unità fra le persone (le principali religioni della terra, a tutt’oggi, arrivano al massimo a concepire l’amore verso l’altro, nessuna l’amore reciproco).
Le due realtà sono l’una effetto dell’altra e sono il segno d’identificazione dei cristiani: Gesù difatti riconosce come suoi seguaci coloro che vivono l’amore vicendevole e che – per questa realtà, per non rinnegarla, per non fabbricare strutture di potere o per non avere collusioni con esso – sono pronti a dare la propria vita, giacché il dominio dei “superiori” e l’odio, generato dall’intolleranza dei potenti, li potrebbero perseguitare, considerandoli casi gravi, fino a infliggere la pena capitale.
D’altronde Gesù e gli apostoli condannano continuamente i giuramenti, i voti, l’ubbidienza alle persone, poiché in un sistema di democrazia diretta, come quello realizzato dai primi cristiani, l’ubbidire a qualche gruppo o a un capo non ha più senso, in quanto che hanno valore soltanto le decisioni prese da tutta a comunità (in cui non vi devono essere strutture gerarchiche) e che in tal modo sono le decisioni stesse del cielo, cioè la volontà della comunità tutta assieme s’identifica con la volontà stessa di Dio: il resto è una restrizione o un pericolo per le persone e per la democrazia svelata da Gesù.
È da mettere in rilievo che il Nazareno, con il suo “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”, è pure storicamente il primo a sostenere la separazione fra Stato e sfera religiosa. A quei tempi costituisce una grave eresia.
“Se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra …”. Questa frase di Gesù potrebbe far sembrare che egli voglia persone remissive e ‘buone’, quasi rassegnate, invece è una vera rivoluzione sociale per far fronte alla violenza, alla brutalità, e di conseguenza ai privilegi, allo sfruttamento e strapotere, che il dominio di certi capi e potenti d’ogni sorta esercita contro popolazioni o minoranze o singoli inermi.

Per inciso ricordiamo che questo lo ben comprende Gandhi: alle bastonate dei colonizzatori gli indiani rispondono con la non violenza, ossia col rifiuto di usare la violenza come lotta politica anche quando contro di essi sono adoperati mezzi brutali; in tal modo è messa in evidenza l’inciviltà opprimente del potere. La non violenza, afferma il Mahatma, non deve essere passiva ma attiva, provocatoria, contro le regole e norme ingiuste del potere operare la disobbedienza civile, così la reazione spesso violenta di coloro che dicono (o credono) di appartenere a una civiltà superiore, mostra invece la loro bestialità e antidemocraticità. Alla fine, dopo anni di lotta non violenta, Gandhi tratta e ottiene l’indipendenza per l’India.

Anche Gesù applica la non violenza attiva. Egli, nel rispetto della Verità, denuncia il malaffare del potere, in particolare di quello religioso, chiamando questo covo di vipere, generazione corrotta, ipocrisia recitante, sepolcri imbiancati (i due sommi sacerdoti di Gerusalemme sono entrambi vestiti di bianco), e il potere risponde con la brutalità e l’infamità della condanna a morte e la consegna ai carnefici del Giusto. Successivamente i cristiani, che lo seguono, sono perseguitati e condannati alla pena capitale nei circhi dell’impero, ove affrontano la morte cantando uniti nell’amore scambievole e perdonando i loro assassini.
Gesù ha alla sua sequela molte donne, cosa inaudita per la Palestina di quei tempi: è la prima volta che un Maestro ha discepoli di sesso femminile. Esse hanno incarichi funzionali in tutte le comunità cristiane.
Il Maestro porta una visione nuova dei bambini, fino allora socialmente considerati un nulla, li stringe a sé e li accarezza quando vogliono scacciarli: “qualunque cosa fate a un bambino lo fate a me” e “a chi è come loro appartiene il regno di Dio”. Difatti i primi cristiani non picchiano i loro figli, siamo essi maschi o femmine, bensì li educano fin da fanciulli nell’Amore. Questo è della massima importanza.
Chi non ama né rispetta i piccoli non realizza la pienezza dei tempi.

A quei tempi in Palestina le decisioni sono prese dai grandi sacerdoti. Col “sacerdozio regale” esteso da Gesù a ogni membro, tutti sono sacerdoti, tutti hanno la dignità regale, tutti sono sovrani, pertanto le decisioni sono prese da tutti, anche dagli ultimi, dagli inferiori, dagli schiavi, alla pari: e ciò costituisce una grave eresia. Pure chi espleta delle funzioni è eletto da tutta la comunità, mai dall’alto: Gesù infatti si identifica con la comunità tutta assieme o con ciascuna persona ritenuta inferiore, mai con i superiori gerarchici né con un’istituzione o una dottrina religiosa.
Concludiamo con una riflessione su Paolo. L’apostolo comprende che il messaggio di Gesù è per tutti gli esseri umani, non solamente per gli ebrei. Nel rapporto interpersonale l’essenza è l’amore scambievole che può essere vissuto altresì con un pagano, con un samaritano, con uno straniero, con un ateo, ecc., se questi corrispondono. Se io amo, se tu ami, se tu samaritano ami un ebreo, se tu ebreo ami un pagano, se tu romano ami un barbaro, e così di seguito, e reciprocamente l’altro, si genera l’unità. Può essere vissuto da tutti i popoli del mondo. Potremmo esprimerlo con uno slogan: ‘tutti per tutti’.
Parimenti, nel campo sociale, le decisioni che riguardano la comunità vanno prese, su ogni cosa, da tutti gli interessati, siano essi ebrei o non ebrei, greci o egiziani, ecc., giacché siamo tutti alla pari nella diversità, tutti figli dell’unico Dio: è l’uguaglianza, è il messaggio democratico originario, premessa insostituibile alla fratellanza universale. Può essere realizzato da tutti i popoli del mondo. Potremmo esprimerlo con uno slogan: ‘tutti su tutto’.
In termini moderni le strutture comunitarie generate dal messaggio di Gesù e dal magnificat di Maria si chiamano “suffragio universale” e “sovranità diretta del popolo”.
Per il fatto che impedisce la concretizzazione di quanto sopraddetto, il ‘male’ nel campo sociale, ribadisce Gesù, è il potere con i suoi sommi capi: “i capi delle nazioni, lo sapete, decidono su di
esse e i potenti esercitano su di esse il loro dominio; tra voi non ci devono essere queste strutture”. L’autorità viene da Dio, il potere con la sua struttura verticistica è il sintomo dell’anticristo, ancora peggiore se opera in nome di un dio. L’apostolo Paolo proclama:
“ALLORQUANDO SONO ANNIENTATE TUTTE LE STRUTTURE DI POTERE E LE FORME DI DOMINIO E, PER ULTIMA, È SCONFITTA ANCHE LA MORTE FISICA, ABBIAMO LA PIENEZZA DEI TEMPI”.

Vari passi della bibbia parlano di Dio che dà a ogni essere umano la libertà di decidere, caratteristica questa propria della laicità. Alla libertà di decidere degli individui si oppone sempre in tutti i tempi il potere verticistico e accentratore, sia esso politico, economico o religioso. La libertà di decidere permette un grande sviluppo della società, ma può portare anche all’individualismo e al predominio del più forte.
Gesù crea delle comunità dove la libertà di decidere di ciascuno può essere espressa anche insieme a tutti gli altri membri della comunità, con immediato effetto esecutivo, dando vita ad una realtà nuova dal valore sociale immenso: la democrazia diretta. Con Gesù si passa dalla democrazia dei “ceti superiori” dell’antica Grecia alla democrazia degli ultimi, di tutti. Conferma la citata lettera a Diogneto: “i cristiani testimoniano un meraviglioso sistema di vita sociale”.
Come è realizzata la volontà di Dio in cielo, così sia realizzata la volontà di tutta la comunità assieme in terra. Le due volontà s’identificano. Quando diciamo il ‘Padre nostro’ possiamo fare un parallelo: “sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra” e “in verità vi dico, ogni cosa che la comunità tutta assieme approva sulla terra è approvata anche in cielo”.
Per queste parole siamo rinati socialmente, per l’autorità del popolo, perché ora la possiamo realizzare e vivere nel mondo.
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(ndr.) – Tutti i popoli abbiano la libertà di prendere decisioni comuni; le decisioni socio-politiche che sono oggi un privilegio di pochi, siano un giorno il diritto di tutti i cittadini assieme. L’amore reciproco: ama e capirai.
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IL “PADRE NOSTRO”

Agli apostoli che gli chiedono come pregare, Gesù risponde di non fare come i farisei che recitano lunghe preghiere, costituite da una sequenza di parole anche ripetitive.
In pratica si vorrebbe dare a questa sfilata di parole quasi un potere magico che dovrebbe produrre grazie o miracoli, ma che in genere non produce quasi nulla.
Per Gesù la preghiera è il colloquio in unità con Dio-Amore ed è il colloquio dei cristiani fra loro quando mettono in comune le loro esperienze di amore vissuto, seguendo l’insegnamento del Maestro.
Gesù parla a essi del ‘nostro Papà’, del ringraziamento a Dio per quanto di ammirevole essi realizzano vivendo il suo messaggio.
“Tu sei il nostro Papà, e sei la pienezza d’Amore. Che tutti siano una cosa sola, come noi e tu, Papà, siamo una cosa sola.
Ti ringraziamo perché questo ci fa essere amore e viviamo l’amore scambievole fra di noi, che ci rende fratelli e porta la gioia, e possiamo generare (possiamo avere) te vivo in mezzo a noi, qui sulla Terra.
Ti ringraziamo perché, uniti nell’amore, possiamo tutti quanti assieme esprimere e attuare la volontà della comunità sulle esigenze comuni, e impariamo che questa volontà coincide con la tua, realizzando l’uguaglianza e la fraternità universale.
Ti ringraziamo perché tutto ciò permette a ciascuno di avere il proprio cibo quotidiano, tutti possiamo lavorare e avere una paga dignitosa. Gli ultimi, i poveri, gli emarginati, i migranti, gli ammalati sono da noi identificati con Gesù stesso, non ci sono più bisognosi tra noi, e in tal modo realizziamo la giustizia sociale.
Ti ringraziamo perché tu perdoni le nostre mancanze come noi perdoniamo chi commette mancanze verso di noi, e possiamo realizzare il regno della tolleranza.
Ti ringraziamo perché non ci fai cadere nelle tentazioni di volere strutture di potere o di ricchezza riservate a pochi (le tentazioni del deserto – ndr), e così ci rendi liberi dal male sociale della sottomissione e dello sfruttamento”.

Queste esperienze che vivono, i cristiani le mettono in comune negli incontri tra loro e con gli altri. La moltitudine dei credenti è un cuor solo e un’anima sola e fra loro non ci sono più indigenti. Molti pagani e di altre religioni, vedendo come si amano reciprocamente, credono a essi, e i cristiani, per la testimonianza che offrono del messaggio di Gesù e per la loro ammirevole struttura sociale, ogni giorno di più si moltiplicano.
Così risolvono i problemi sociali i primi cristiani. È una vera rivoluzione!

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L’ESSENZA DEL MESSAGGIO SOCIALE

Gesù vuol cambiare il mondo con la realizzazione di due pilastri fondamentali, generati dalla fede in Dio nostro Papà, piena autorità d’Amore:

1) l’amore scambievole
Il primo passo per vivere l’amore scambievole è conoscersi.
Amare significa dare senza chiedere nulla in cambio. Gesù afferma: “qualunque cosa fate al minimo, cioè al socialmente ultimo, lo fate a me; da questo siete riconosciuti: ho fame e mi date da mangiare, sono ammalato e mi curate, sono migrante e mi accogliete, sono emarginato e mi accettate, …”.
Se io amo l’altro, in particolare il meno considerato e il prossimo, con un amore ‘puro’, che vuol dire senza attaccamenti, senza volere neppure la sua conversione o un suo cambiamento, se faccio il vuoto dentro di me per essere solo amore per l‘altro, allora non sono io che agisco, ma è l’amore; e l’altro percepisce l’amore. E se l’altro ricambia nasce un rapporto diverso, una nuova vita, UNA REALTÀ NUOVA: è l’Amore scambievole, per cui si diventa una cosa sola, è l’unItà. “È da questo che siete riconosciuti come miei seguaci”.
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NOTA: Analogamente, nella chimica due elementi possono unirsi fra loro generando una sostanza nuova: ad esempio l’idrogeno e l’ossigeno, che sono due gas molto diversi, in date condizioni si fondono fra loro diventando acqua, un liquido dalle caratteristiche completamente nuove.
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È la parola di Gesù che si realizza e attira le persone.
Essere cristiani è vivere essendo amore, amore reciproco e verso gli ultimi, non è dire “Signore” “Signore” – sono parole di Gesù – non è recitare per ore delle preghiere o fustigare il proprio corpo, non è praticare delle ideologie di potere o dare importanza primaria a organizzazioni o a superiori, non è seguire delle devozioni formali o una dottrina astratta, non è credere a credenze materiali prefabbricate. Riconoscere Dio Amore è vivere nei rapporti delle persone fra loro l’amore scambievole, che fa crescere le persone.

2) l’autorità del popolo
Riconoscere Dio nostro Papà è riconoscersi fratelli, uguali, al di là delle convinzioni culturali, politiche, religiose o delle abitudini di ciascuno, per cui è presa in comune, alla pari, ogni decisione importante, per istituzione. Da questo legame, accolto a priori, nasce un sistema sociale insostituibile, UNA NUOVA REALTÀ: è l’Autorità del popolo, che fa crescere la comunità, che “fa essere la moltitudine un cuor solo e un’anima sola”.
È il messaggio di Gesù che si realizza e attira la moltitudine.
È la fratellanza universale, che ci rende tutti uno. È una forza innovatrice e trasformatrice della società come nessun altro modello, che fa crescere la comunità.
Una cosa sola è necessaria: l’istituzione vitale dell’autorità del popolo, di cui anche “gli altri” possono essere partecipi. L’autorità del popolo è un Corpo, il cui spirito vivificatore è l’amore scambievole.

Sono le radici cristiane: questi due valori basilari, pienamente comprensibili da tutti i popoli della terra, sono la perla preziosa che, per possederla, conviene perdere tutto quanto ci propina il potere dei capi. Molti di costoro perseguitano i realizzatori del messaggio comunitario e “se per questo prendete la croce, siete riconosciuti come miei seguaci”.

AL GIORNO D’OGGI VARIE TEORIE O GRUPPI (CON SCOPI BELLISSIMI) CERCANO DI PORTARE AL POTERE PERSONE CHE SAPPIANO CON LE PROPRIE DECISIONI SOLLEVARE LE POPOLAZIONI DALLA POVERTÀ, DALLO SFRUTTAMENTO, DAI SOPRUSI DEL POTERE. I POCHI CHE RIESCONO A IMPORSI POSSONO PORTARE, SALVO ECCEZIONI, RISULTATI PARZIALI, A VOLTE NON CONDIVISI, A VOLTE TEMPORANEI; LE POPOLAZIONI IN OGNI CASO SEMPRE RESTANO IN BALÌA O DIPENDONO DALL’APPROVAZIONE DI QUALCUNO, SIA PURE PATERNO.

GESÙ VA OLTRE: EGLI NON AFFIDA LA DECISIONE DEI PROBLEMI SOCIALI A POCHI, ANCHE SE BEN DISPOSTI O PATERNI, MA DÀ IL POTERE DI DECIDERE PER LA COMUNITÀ A TUTTI I COMPONENTI DELLA COMUNITÀ STESSA, CHE PORTANO A RISULTATI INEGUAGLIABILI E AD UNA FIORITURA DI ATTIVITÀ. È UNA RIVOLUZIONE: TUTTI SONO INVESTITI DELLA SOVRANITÀ E LE DECISIONI PRESE INSIEME SONO LE PIÙ CONFACENTI E LE PIÙ CONDIVISE, SONO QUELLE ‘VOLUTE DAL CIELO’.

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SCHEDA SINTETICA DELLA BUONA NOVELLA

La scheda 1 riporta schematicamente i principali punti base della grande novità trasmessa dal messaggio di Gesù, che segna una svolta per l’umanità.
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Scheda 1 – Punti base del cristianesimo
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punto base: Rapporto dell’individuo con l’ideologia
Dio è il nostro Papà, la piena Autorità d’Amore.
Dio viene accanto all’uomo. Amore che è vita, è luce,
amare adesso nel momento presente,
amare per primi, amare chi ci è avverso,
essere amore, trasformare il dolore in amore.

punto base: Rapporto delle persone fra loro
Amore scambievole, che realizza l’unità fra le persone, e porta la gioia nel cuore e lo sviluppo della personalità.
Gesù s’identifica nel rapporto di amore scambievole che vi è fra più persone, quando sono pronte ad amarsi (anche fino dare la vita l’una per l’altra) e quindi anche a fare il vuoto dentro di sé per essere soltanto amore, senza attaccamenti, verso l’altro così com’è. Questo genera l’Amore in mezzo a loro, ed è questo Amore che opera e conquista la gente.
I seguaci sono tutti chiamati santi poiché vivono l’amore.
Gesù s’identifica nei socialmente ultimi: valorizzazione dei bambini e delle donne, degli sfruttati, dei poveri, degli ammalati, degli emarginati, degli emigranti, dei perseguitati dal potere ingiusto.
Amare ogni prossimo.

punto base: Rapporto comunitario
Siamo tutti fratelli, pertanto tutti con pari diritti;
le decisioni spettano a tutta la comunità assieme, sia ai liberi sia agli schiavi, su ogni cosa: ciò genera unione nella diversità, pace, collaborazione, giustizia sociale, equa distribuzione della ricchezza, solidarietà, libertà, tolleranza, progresso, benessere generalizzato.
Anche gli addetti alle varie mansioni (presbiteri, diaconi) sono eletti dalla comunità.
Ognuno mette a disposizione i beni che ritiene di dare, col ricavato i bisognosi possono lavorare e/o avere una paga dignitosa, chi non vuol lavorare non beneficia della mensa.
Gesù s’identifica in tutta la comunità unita nell’amore, ove tutti sono uguali nella diversità.
Ogni cosa, che tutta la comunità decide assieme, è espressione della volontà di Dio: ha un valore immenso, è la più grande espressione della dignità umana. Perciò Egli dichiara che non vuole né capi né superiori, il male sociale è il potere sugli altri, vale a dire la struttura sociale gerarchica = esseri superiori/inferiori e di conseguenza con disuguali diritti, cioè privilegi per pochi e discriminazioni per tanti.
L’autorità fa crescere e progredire gli altri, non esercita il potere che sottomette gli altri.
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APPENDICE

DOCUMENTI DEI PRIMI DUE SECOLI

RIPORTIAMO ALCUNI DEI TANTI PASSI DEGLI SCRITTI DEL I° E II° SECOLO d.C., DOVE SONO DESCRITTE LE ESPERIENZE DELLE PRIME COMUNITÀ CRISTIANE BASATE SUL MESSAGGIO DI GESÙ, CHE OPERANO UNA RIVOLUZIONE DEMOCRATICA RISPETTO ALLE STRUTTURE E AI MODELLI ORGANIZZATIVI DEL TEMPO

– Dagli Atti degli apostoli (6,2-6).
“Allora gli apostoli convocano la comunità e dicono: non è giusto che noi trascuriamo di diffondere la parola di Dio per fare il servizio delle mense. Scegliete dunque tra di voi, fratelli, sette uomini di buona reputazione, pieni di spirito e di saggezza, cui affidare questo incarico. … Tutti i membri della comunità accettano questa proposta ed eleggono Stefano, Filippo, Procoro, Nicanore, Timone, Parmenas e Nicola, un cristiano di Antiochia. Li presentano quindi agli apostoli i quali, nell’unione con Dio-Amore, impongono loro le mani” [in termini moderni è la realizzazione del suffragio universale per l’elezione di coloro che devono esplicare una determinata funzione, in questo caso per l’elezione dei diaconi nella comunità di Gerusalemme; il risultato è poi ratificato dagli apostoli].

– Un ulteriore esempio è offerto dalla seguente lettera di Ignazio (fine del I° secolo d.C.) a Policarpo, presbitero di Smirne, nel punto in cui parla della necessità di un corriere per portare un messaggio a una comunità siriana.
“È bene, Policarpo, che tu riunisca tutta la comunità dei fedeli, affinché questa elegga una persona di sua fiducia e solerte, che può ben chiamarsi corriere di Dio, cui sia affidato il compito di recarsi in Siria … ”.

– Analogo episodio è riportato dagli Atti (15,22) per l’elezione a Gerusalemme, nell’anno 48 d.C., di due messaggeri.
“Allora gli apostoli, i presbiteri e tutta la comunità decidono di eleggere alcuni di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba: sono eletti Barsabba e Sila, uomini tenuti in grande considerazione tra i fratelli … ”.

Dal Vangelo di Matteo (18,17-18).
“Se il tuo fratello commette una colpa, vai e ammoniscilo fra te e lui solo; … se non ti ascolta, prendi con te una o due persone, … se poi non ascolta neppure costoro dillo alla comunità tutta assieme; se non ascolta neppure la comunità, sia come un pagano. In verità vi dico: tutto quello che (i membri della comunità tutti assieme) approvano sulla terra è approvato anche in cielo e tutto quello che non approvano sulla terra non è approvato neanche in cielo” [in termini moderni è la realizzazione dell’autorità del popolo, cui spetta la decisione finale].
E Gesù prosegue:“in verità vi dico inoltre che se due (qualunque) di voi si accordano sulla terra per domandare qualsiasi cosa, il Papà mio che è nei cieli ve la concede, poiché dove due o più sono uniti nel mio nome (nell’amore scambievole), io sono in mezzo a loro”.

– È interessante la modalità di sostituzione dell’ex apostolo Giuda (dagli Atti: 1,15-26).
“In quei giorni Pietro si alza in piedi nel mezzo dell’assemblea dei fratelli – le persone riunite sono circa centoventi – e dice: “Fratelli, … bisogna che tra coloro sempre vicini per tutto il tempo della vita di Gesù insieme a noi, … uno divenga testimone con noi del suo farci crescere nella vita nuova essendo amore (oppure secondo altri: del suo risuscitamento)”. (I membri dell’assemblea) ne designano due, Giuseppe e Mattia. … Fanno quindi l’estrazione a sorte tra i due (ballottaggio) che cade su Mattia, il quale viene associato agli undici apostoli” (il sorteggio c’è anche nella democrazia greca – ndr).

ALTRI SCRITTI DI QUEL PERIODO

Riportiamo due passi della ‘Didachè‘, documento di cui i primi cinque capitoli sono scritti da un cristiano deI I secolo; i restanti capitoli sono aggiunti probabilmente dal IV secolo.

“(I seguaci di Gesù) non alzano la mano né sui loro figli né sulle loro figlie, ma sin dalla fanciullezza li educano nell’amore”.

“(I seguaci del potere logorante) sono amanti delle cose vane, avidi di malversazioni, sfruttatori del povero, intolleranti con chi è oppresso”.

Ecco infine un brano tratto dalla lettera ‘a Diogneto‘, un bellissimo attestato della letteratura greca sulla vita quotidiana concreta dei cristiani delle origini, i cui primi cinque capitoli sono scritti da un seguace tra il 70 e il 150 d.C. ai tempi delle prime persecuzioni; anche qui i capitoli successivi sono aggiunti probabilmente dal IV secolo.
“I cristiani non si distinguono dagli altri esseri umani né per territorio, né per lingua, né per usanze. Difatti non abitano in città proprie, non parlano un loro idioma diverso dalle altre lingue, non conducono un genere di vita particolare.
La loro fede non è nell’osservanza di precetti, dettati da persone, che si basano su molteplici riti formali, né è nell’adesione a una dottrina filosofica di determinati uomini, come fanno altri.
Vivono in città greche o barbare, come a ciascuno capita, e si adeguano alle usanze del posto nell’abbigliamento, nell’alimentazione e nelle restanti cose, testimoniando un sistema di vita sociale ammirevole e senza dubbio fuori del solito.
Vivono nella loro patria, ma come forestieri, partecipano a tutto come cittadini e non sono attaccati a nulla come se stranieri. Ogni patria altrui è la loro patria e ogni patria è come non propria.
Si sposano come tutti quanti e generano figli, ma non abbandonano i neonati. Mettono in comune la tavola, ma non il letto. Stanno frammezzo alla corruzione, ma non vivono secondo la corruzione. Risiedono qui sulla terra, ma la cittadinanza che li contraddistingue è quella dell’Amore. Obbediscono alle leggi stabilite e con la loro vita si comportano meglio di quanto richiedono le leggi stesse.
Amano tutti e sono perseguitati. Non conoscono nulla di loro e sono condannati. Subiscono la pena di morte e tornano a vivere. Sono poveri e fanno diventare ricchi molti. Mancano di tutto e di tutto hanno in abbondanza. Sono disprezzati e nei disprezzi mostrano il valore del loro messaggio. Sono oltraggiati e con ciò proclamati giusti. Sono ingiuriati e parlano bene degli altri. Sono maltrattati e tengono in grande considerazione gli altri. Fanno del bene e sono puniti come malfattori. Sono giustiziati e gioiscono come se ricevano la vita. Sono osteggiati dai giudei e perseguitati dai pagani e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo di quell’odio.
In conclusione, come è l’anima nel corpo, così sono i cristiani sulla terra. L’anima è diffusa in tutte le parti del corpo, i cristiani sono diffusi in tutte le città della terra” … ”E ogni giorno di più si moltiplicano”.

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IL GRANDE MESSAGGIO DI GESÙ SUI RAPPORTI INTERPERSONALI
“Ama i tuoi nemici, fai del bene a chi ti fa del male, ama il prossimo tuo come te stesso, ama i più emarginati e sofferenti identificandoli con me” e “Vi do un comandamento nuovo, il mio comandamento, amatevi a vicenda come io amo voi, da questo siete riconosciuti come miei seguaci”.
Quando due o più persone fanno il vuoto dentro di sé per essere uno con gli altri, per essere amore per gli altri, generano me in mezzo a loro.
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IL GRANDE MESSAGGIO SOCIALE DI GESÙ
La comunità è composta di schiavi e liberi, ultimi e non ultimi, emarginati e non emarginati, istruiti e non istruiti, bianchi e neri, donne e uomini, simpatici e antipatici, amici e avversari, e il nuovo messaggio è che tutti sono alla pari, con uguale dignità regale, essendo tutti figli dello stesso Re, Dio-Amore, il nostro Papà. Pertanto “qualunque cosa la comunità tutta assieme approva sulla terra è approvata anche in cielo”.
È il più grande dei diritti civili e sociali sulle esigenze comuni, è il più alto riconoscimento della dignità umana.

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PARTE II –
IL PAGANESIMO

L’impero romano e la religione pagana.
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INDICE DELLA PARTE II

La religione pagana
Il sistema sociale
Scheda sintetica del paganesimo
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LA RELIGIONE PAGANA

Ogni sistema di potere si basa su un’ideologia che ne deve giustificare la validità. Questo è, ad esempio, il compito delle religioni di Stato, generalmente fondate – assimilando elementi da credenze preesistenti – da una forte personalità politica o militare o culturale, che instaura o continua una sovranità spesso di tipo dispotico. Accade che col trascorrere del tempo il potere modifica o adatta varie volte l’ideologia per legittimare le sue esigenze.
Vediamo i punti base di un regime centralizzatore e assoluto, come quello romano, abbinandoli con il credo della religione corrente, il paganesimo.

a) il rapporto dell’individuo con l’ideologia

La struttura gerarchica dell’impero di Roma, per il suo potere immenso, è il centro di tutto. Tutti devono essere assoggettati a essa, se richiesto tutti devono sacrificarsi per essa. Il vertice della struttura è l’imperatore, che è un dio.
Con l’impero viene accentuato il fenomeno che il paganesimo, come tutte le confessioni di Stato, è religione del potere, serve a tenere sottomessa la gente col timore degli dei, con regole formali, col controllo che operano i sommi sacerdoti e i loro dipendenti.
La religione pagana, dalla spiritualità prettamente individualistica, rivela che gli dei dimorano nel loro regno sopra le nubi, non mandano messaggi sociali a favore del popolo, sono organizzati anch’essi in ordine gerarchico, e gli uomini devono essere a loro sottomessi, fare sacrifici personali e offrire scrupolosamente le cose migliori per ottenere i loro favori (do ut des).
Ricordiamo che fin dall’inizio delle loro conquiste, gli antichi romani hanno una grande devozione verso gli dei: consacrano a essi le armi che fabbricano, ottenendo dopo la consacrazione spade di ferro molto più resistenti delle spade e scudi nemici, che in battaglia si spezzano sotto i colpi dei romani. Se questi però non consacrano le loro armi agli dei, le spade non acquistano maggiore durezza rispetto alle armi avversarie. È un fatto reale, accertato. Pertanto la religione inculca una doverosa devozione verso le divinità pagane, facendole ritenere artefici della potenza di Roma.
Qual è il vero motivo?
Nel corso della cerimonia religiosa le corte spade appena foggiate sono infilate dentro il corpo di capretti che dopo sono bruciati sul fuoco di legna in sacrificio agli dei. Viene dato inizio in tal modo a un processo di carburazione, ossia di diffusione del carbonio nello strato superficiale del ferro, trasformandolo in acciaio: da qui la superiore durezza delle spade romane.

Il paganesimo concede poco alla moralità, ma diffonde la devozione e la disciplina religiosa.
Il culto dello Stato romano è rivolto alle persone-dei ed è incentrato sulla triade celeste o trinità, la divinità massima, composta di tre dei distinti: Giove, Giunone e la vergine Minerva. I riti più noti si celebrano nel tempio capitolino, in cui le tre figure divine sono adorate in celle adiacenti, con al centro quella di Giove; tale venerazione è già presente presso gli etruschi (VIII secolo a.C.). A Roma il santuario più antico è il ‘capitolium vetus’ sul Quirinale, che contiene la triade in un unico sacello.
Da notare che anche nella religione dell’antico Egitto la divinità maggiore è una trinità, composta dagli dei Osiride, capo supremo, risuscitato dopo la sua morte, Iside, sua moglie e sorella, dea della maternità e dell’amore, Horus, loro figlio, che si incarna ogni volta in terra nel faraone. Analogamente, per la religione pagana l’imperatore romano è un dio che si è incarnato in terra e, dal VII secolo, anche nel lontano Oriente l’imperatore giapponese è dichiarato di origine divina, figlio del dio Sole. in India la religione contempla la trimurti, triade divina composta da Brahma, il creatore, Vishnu, il conservatore, Shiva, il distruttore; anche le rispettive mogli compongono una triade divina.

Nella religione pagana sono altresì rivolte suppliche e offerte a statue e immagini materiali, adorate o venerate come gli dei che raffigurano (essendo inerti non creano fastidi ai potenti!) e con questi atti i fedeli si sentono consolati. Delle volte si sparge la voce che qualche simulacro emette lacrime o gocce di sangue o si è mosso; la gente accorre e i più ingenui o inesperti ci credono. Anche se il fatto non sussiste, il potere spesso lo fa ritenere veritiero, perché considerato utile a rinvigorire la devozione presso il popolo.
Si crede che gli dei a volte, per loro scopi, scendano qui giù nel nostro mondo, prendendo sembianze umane o animali. È di derivazione etrusca (sempre dal secolo VIII a.C.) l’adorazione, tra l’altro, di un dio, figlio a sua volta di un dio, che si è incarnato sulla terra per manifestare agli uomini la volontà divina.

Sovente un personaggio umano molto noto lo fanno diventare una divinità. Ogni tanto Giove e altri dei mettono incinte donne terrestri, generando figli umani o semidei o altri dei; ogni tanto qualche dea vergine genera un figlio restando vergine.
La religione considera gli atei e i sacrileghi nemici del potere, per cui questi subiscono punizioni esemplari o la pena capitale.
Tutti gli elementi suddetti sono ripresi dall’imperatore e sommo pontefice pagano Costantino I e da suoi successori allorché, nel IV secolo d.C., operano una monumentale ristrutturazione della religione. Ma non finisce qui.
Certi sacerdoti (gli àuguri) compiono la divinazione nel corso di elaborate cerimonie, interpretando il comportamento di animali o di fenomeni naturali come manifestazione della volontà degli dei.
Incaricato dell’organizzazione del culto pagano è il ‘sommo pontefice’ di Roma: tale carica è assunta dallo stesso imperatore, persona-dio, cui bisogna sacrificare come atto di adorazione (la venerazione del potere) e a cui sono attribuiti miracoli e guarigioni di malati e storpi. Quando muore l’imperatore, uomo-dio, questi risorge prendendo l’aspetto di una stella che brilla nella volta celeste. Chi non fa atto di devozione e assoggettamento al sommo capo è condannato.

Il culto della personalità, vale a dire di chi sta al comando, è molto propagandato: i capi, come gli dei, sono mitizzati, devono essere considerati esseri superiori, divini, modelli astratti e pertanto irraggiungibili, al fine di meglio tenere loro sottoposta la gente comune. Questa deve sentirsi annichilita di fronte a cotanta perfezione, sicché non possa aspirare a posizioni migliori, anzi deve essere contenta di restare sottomessa o almeno vi si deve rassegnare.
Significativa a tale proposito è la teoria esposta del filosofo greco Epittéto, cortigiano del ‘dio’ Nerone: “l’universo è governato dalla ragione divina, che è perfetta; ne deriva che nessuno può conoscere o modificare il proprio destino. L’uomo deve smettere di lottare per conseguire finalità in questo mondo e accettare invece con serenità (intendasi: con rassegnazione) la propria impotenza di fronte al fato”.

Un’altra espressione reputata necessaria è pertanto quella del sacrificio personale, per non conseguire finalità personali in questo mondo. Si hanno notizie di gruppi di eremiti pagani, i ‘terapeuti’, alquanto diffusi agli inizi dell’impero soprattutto sulle coste del Mar Rosso.
Essi fanno frequenti digiuni e vita riservata, cercano di arrivare a visioni mistiche della divinità e ritengono che sia un alto valore per le donne giungere vergini in età avanzata. Alcuni gruppi subiscono anche l’influsso giudaico con la celebrazione di una festa ebraica e l’osservanza del sabato.
A Ierapoli, città dell’Anatolia, è rinomata una colonna in cima alla quale salgono gli eremiti pagani, sulla quale vi restano ininterrottamente per una settimana, allo scopo di determinare una più stretta relazione con la divinità.

Le vestali, scelte dal sommo pontefice all’età di 6-10 anni affinché siano consacrate alla dea Vesta per trenta anni (in pratica per tutta l’età feconda), devono tenere sempre acceso il fuoco sacro, simbolo della grandezza di Roma, restando fisicamente vergini: chi trasgredisce viene sepolta viva.
Esse sono tenute in gran considerazione – i capi pagani le reputano il ‘rubino’ della loro religione – e nelle manifestazioni pubbliche sono loro riservati posti d’onore. Per ingraziarsi il favore degli dei, le vestali devono affrontare, nell’agiatezza di una semiprigione dorata, due gravi sacrifici personali: quello di dovere negare la vita ai propri figli e quello di macerarsi nel controllo dei sensi, se non vogliono fare la fine di cui sopra.
Benché la verginità desti a volte un senso di stupore strano o morboso fra la gente, il mondo romano le attribuisce grande importanza e le donne che sono in tale condizione non possono subire la condanna a morte (dal IV secolo il tema della verginità fisica viene rafforzato in seguito all’accennata ristrutturazione della religione, che ha inizio con l’imperatore Costantino I).
La teologia pagana, meglio conosciuta col nome di mitologia, stabilisce che svariate sono le divinità in stato di verginità, fra cui Diana, alcune ninfe e la citata Minerva, sede della sapienza. In particolare l’imperatore Domiziano (51 – 96 d.C.) professa una speciale venerazione per quest’ultima, arrivando a dichiarare di essere il figlio della vergine dea e pertanto dio lui stesso.
Sono fautori della verginità sia correnti filosofiche, come gli stoici e i seguaci della gnosi, sia intellettuali pagani di vario genere come Plinio (23 – 79 d.C.), il quale elogia la castità degli elefanti per il fatto che si accoppiano … solamente ogni due anni (notiamo per inciso che da quasi tutte le religioni pagane o primitive, e soprattutto da esse, è dato fortissimo rilievo alla verginità fisica e/o all’immolazione dei figli alla divinità). Certi scritti gnostici addirittura esaltano le mogli che rifiutano, ritenendolo abominevole, l’approccio sessuale col marito.

b) il rapporto delle persone fra loro

Non ci sono comportamenti particolari oltre a quanto contemplato dalle leggi che regolano i rapporti tra le persone. Sono frequentati le manifestazioni pubbliche, gli spettacoli anche cruenti e certe feste religiose, che possono sfociare in eccessi di ubriachezza, sesso o violenza. Sotto l’impero i giorni festivi diventano così numerosi da superare quelli lavorativi.
D’estrema importanza è l’obbedienza di chi appartiene a una classe inferiore nei riguardi di chi è superiore. L’osservanza dei precetti religiosi costituisce anche atto di obbedienza allo Stato. I capi richiedono giuramenti solenni per garantire l’uniformità alla loro volontà, vale a dire l’asservimento a individui o alla situazione di fatto.
Certi sacerdoti pagani, chiamati ‘vescovi’ – tutti dipendenti del sommo pontefice, ovverosia del monarca romano – hanno la carica di sorvegliante (in greco ‘epískopos’) del territorio di loro competenza, denominato ‘diocesi’ dal III secolo. Coadiuvati dai loro collaboratori (il clero), essi devono controllare che le persone osservino le formalità religiose imposte: chi deroga corre seri pericoli e nei casi più gravi rischia la condanna capitale con l’accusa di empietà o ateismo.

c) il rapporto comunitario

Per la teologia gli dei rappresentano, ciascuno in modo distinto, le necessità pratiche della vita quotidiana, alcune invero assai valide, della comunità sociale. A loro sono dedicati numerosi templi.
Alla religione fa da fondamento una struttura rigidamente gerarchica composta, nell’ordine, dal sommo pontefice, dai vescovi monarchici e dal clero, e costituisce un ottimo strumento utilizzato dal potere romano per la sottomissione del popolo.
Col tempo il paganesimo svuota buona parte della sua spiritualità, tendendo sempre più a identificarsi col culto del personaggio al potere, cosicché, per la massima affidabilità del sistema e per un maggiore prestigio personale, la carica di sommo pontefice è assunta dallo stesso imperatore.
A questo punto al vertice vi è l’imperatore, dio incarnato sulla terra, onnipotente capo politico, militare e religioso. Nella scala sociale vengono poi varie classi con un potere sempre più ridotto, fino alla massa degli schiavi che non ne ha alcuno. Anche le donne sono totalmente dipendenti prima dal padre poi dal marito e non possono possedere nulla.
L’ossequio alla gerarchia garantisce l’ordine, ossia l’assoggettamento, e viene difeso da leggi severe, che arrivano sino alla confisca di tutti i beni e alla pena di morte. È nota la pax romana che è raggiunta col genocidio delle popolazioni ribelli: vale a dire la pace dei cimiteri.
Ai capi vanno quanto è più possibile di beni e ricchezze. Le classi sociali inferiori manifestano il loro malessere che a volte si muta in sommossa, senza conseguire però effetti concreti. Il potere reprime con durezza ogni espressione di uguaglianza, memore in particolare del ‘temibile messaggio’ lanciato dal gladiatore Spartaco, e non solo da lui, che libera con la violenza gli schiavi, considerandoli esseri umani come tutti gli altri. Anche il cristianesimo è combattuto o malvisto, essendo portatore di uguaglianza e democrazia.
Il lavoro esecutivo o pesante è effettuato esclusivamente dagli schiavi, tanto che un noto letterato pagano enuncia che è impossibile in pratica eliminare la schiavitù, poiché dopo non ci sarebbe più nessuno da adibire al lavoro!

IL SISTEMA SOCIALE

È diffusa la grande proprietà terriera (latifondo), soprattutto a favore dell’aristocrazia senatoriale. La classe militare ha pur essa una fortissima influenza sulla vita dell’impero. Vi è quindi la classe dei cavalieri, formata dai mercanti ricchi e dai funzionari amministrativi. Nei primi due secoli si sviluppano anche quelle medie dei commercianti e dei piccoli proprietari terrieri; di un relativo benessere godono in questo periodo i meno abbienti. Privi di ogni diritto o quasi, come già scritto, sono gli schiavi, le cui fila sono accresciute dai prigionieri di guerra, dai criminali e infine dai cristiani.
La pesante burocrazia dell’apparato governativo e la corruzione peculiare delle alte sfere del potere esercitano comunque sulle risorse economiche un peso che col tempo diviene insostenibile.
Verso la fine del II secolo d.C. inizia una crisi che peggiora sempre di più per l’enorme incremento delle spese militari – dovuto soprattutto all’incalzare dei ‘barbari’ – per la conseguente aspra imposizione fiscale, per l’inflazione sfrenata che conduce al collasso finanziario, per l’anarchia politico-istituzionale, per la diminuzione della popolazione a seguito di terrificanti epidemie di peste, che porta alla depressione agricola e al crollo delle classi sociali medie, per il malcontento e la ribellione delle classi inferiori.
Diocleziano (243 – 313 d.C.) e Costantino I il Grande (274 – 337 d.C.) cercano di porre rimedio alla situazione con un complicato decentramento, che sdoppia le amministrazioni territoriali, con una riforma monetaria e col rafforzamento del potere dell’imperatore, il quale diventa a tutti gli effetti un monarca assoluto. Per l’impero d’Occidente la fine non è lontana.

SCHEDA SINTETICA DEL PAGANESIMO

Riportiamo nella scheda 2 un riepilogo dei punti basilari del paganesimo, la principale religione dell’impero romano. Il confronto di questa tabella con la scheda 1, relativa al cristianesimo, evidenzia le sostanziali differenze tra i due sistemi.
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Scheda 2 – Punti base dell’impero pagano di Roma
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Punto base: Il rapporto dell’individuo con l’ideologia
La divinità massima è la trinità o triade composta di tre dei,
politeismo,
la verginità ha un alto valore,
l’uomo deve ingraziarsi la divinità, sacrificio, rituali formali.
Anche l’imperatore è un dio incarnato, culto della persona e della sua effige,
mitologia (teologia) di stato.

Punto base: Rapporto delle persone fra lor
Obbedienza e sospetto, che generano uniformità, massificazione, paura.

Punto base: Rapporto comunitario
Struttura gerarchica: il superiore decide per gli inferiori.
Produce discriminazioni, asservimento, bisogno, persecuzioni, guerre,
pena di morte.
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Nel campo sociale la differenza fondamentale fra il paganesimo e il messaggio originale di Gesù sta nel fatto che mentre il primo esalta la struttura gerarchica del potere politico e religioso, il secondo non vuole né capi del potere politico né di quello religioso, bensì vuole le strutture dell’autorità (nel senso etimologico della parola) ossia autori della crescita nel loro campo di azione, ed esalta una forma nuova di democrazia. Vediamo più specificatamente le due concezioni.

Paganesimo: gli dei stessi sono ordinati gerarchicamente; l’imperatore, capo del potere di Roma e sommo pontefice della religione, è anch’egli un dio che s’è incarnato in terra. Tutti gli addetti alle cariche, alle funzioni e ai servizi da espletare sono scelti o imposti dall’alto. Il popolo deve rassegnarsi, con serenità, ai voleri della gerarchia, meravigliosa forma di dominio celeste e terreno.

Messaggio di Gesù: Dio ci vuole tutti alla pari, essendo fratelli, dunque non ci devono essere capi che decidono le sorti dei popoli o che esercitano il dominio su di essi, né una casta di sommi sacerdoti religiosi, che Gesù chiama nido di vipere, sepolcri imbiancati, generazione perversa. Gli esseri umani devono sorgere e farsi valere, non rassegnarsi alle ingiustizie del mondo. Pertanto tutti i membri della comunità assieme eleggono direttamente gli addetti a incarichi o servizi per la comunità stessa e altresì prendono direttamente le decisioni che la riguardano: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”, in tal modo ognuno è investito della dignità regale. Il rapporto delle persone fra loro è quello dell’amore scambievole: “Amatevi l’un l’altro come io amo voi”.

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PARTE III –
IL CATTOLICESIMO

Nel IV° secolo d.C. l’imperatore romano Costantino vuole la soluzione per fare della religione un effettivo strumento di potere.
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INDICE DELLA PARTE III

Il cattolicesimo
La nascita d’una nuova religione
Il monachesimo cattolico
La teologia imperiale
Le persecuzioni contro i cristiani continuano
Il soffocamento dei valori sociali
Le derivazioni dal cattolicesimo
I semi della ‘parola’
Laici e clero
Riflessioni sulle definizioni teologiche
Scheda sintetica del cattolicesimo
Considerazioni finali
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IL CATTOLICESIMO

Lungo il corso del IV secolo d.C. è creata, fra potere politico e religione, una nuova stretta interdipendenza, genitrice della sudditanza e dell’integralismo proprie del dominio.
Gli imperatori romani del IV secolo infatti danno inizio a un’ulteriore confessione religiosa, che surroga L’UGUAGLIANZA SOCIALE NELLA DIVERSITÀ, uno dei pilastri del cristianesimo, origine-conseguenza dell’unità e dell’amore scambievole, con LA DISTINZIONE SOCIALE DELLE DIVERSITÀ, origine-conseguenza dell’uniformità e della sottomissione, in pratica la discriminazione e l’arretratezza. Vediamone lo svolgimento (i fatti descritti nel presente capitolo risultano da documenti del periodo cui si riferiscono e pertanto non sono delle opinioni personali).
Costantino I, monarca d’Occidente, ha un motto: “un solo impero, una sola divinità, un solo imperatore”. Egli pertanto personalmente uccide nel 310 d.C. il suo predecessore e concorrente (e suocero) Massimiano, quindi ha un’idea che nell’ambito d’un sistema di potere può considerarsi utile: cercare di sfruttare alcuni valori del cristianesimo per puntellare il traballante impero di Roma.
Già da prima Massenzio, acclamato nel 306 d.C. imperatore di Roma in contrapposizione a Costantino, concede elargizioni ai cristiani per allargare la base dei consensi alla sua carica. Nell’aprile del 311 d.C., anche l’augusto d’Oriente Galerio accorda ai cristiani del suo territorio il permesso di professare liberamente la loro fede.
La religione pagana, imperniata su una spiritualità individualistica e su pratiche formali, non dà pienezza di vita; agli dei si crede più per costrizione (pena la morte) che per convinzione. Col tempo il paganesimo tende sempre più a identificarsi col culto del personaggio superiore istituzionalizzato, ossia dell’imperatore e delle sue … statue, il quale, essendo un dio incarnato, detiene anche la carica di sommo pontefice della religione. Costantino sa che la religione pagana è ‘innocua’ contro il potere o, meglio, è un ottimo strumento di potere, ma, non essendo più accettata con sufficiente certezza dal popolo, ritiene che sia estremamente doveroso ristrutturare ex novo il paganesimo.

I cristiani invece costituiscono un corpo compatto, che neppure cruente persecuzioni riescono ad annientare, rispettano le leggi ordinarie stabilite dallo Stato e con la loro vita superano in meglio le leggi stesse, sono strettamente uniti al loro ‘Signore’ (cioè all’unico padrone che essi riconoscono come tale), a Dio-Amore. Il cristianesimo realizza strutture sociali che sono ‘pericolose’ per il potere accentratore e verticistico, e porta in sé una ‘rivoluzione culturale’ che fa aumentare sempre più il numero dei suoi seguaci, come abbiamo visto nella Parte I, dove è illustrato il messaggio di Gesù storico, cioè originale, non inquinato dalle incrostazioni che vengono incorporate soprattutto a partire dal IV° secolo.
Costantino, conquistato il potere, si ritrova col cristianesimo che già è professato liberamente in buona parte dell’impero sia d’occidente che d’oriente, per cui è difficile eliminarlo; vuole pertanto una soluzione efficace per renderlo ‘innocuo’ o, meglio, per farne uno strumento di potere, dato che le persecuzioni dei secoli precedenti non raggiungono lo scopo prefisso.
Per sfruttare il nuovo credo, oltre al riconoscimento di un Dio unico che s’oppone al politeismo – la cui massima divinità è la triade pagana, composta di tre dei distinti – c’è da superare lo scoglio dei punti sostanziali del cristianesimo, soprattutto del ‘magnificat’ di Maria, da cui scaturiscono testimonianze concrete di una vita comunitaria, che male si adatta, anzi costituisce una seria minaccia alle strutture sistematiche del potere: dal punto di vista socio-politico si può parlare di una democrazia piena a decisione diretta, che si contrappone di riflesso a un centralismo gerarchico assolutistico.

Vi è pure da risolvere un’altra questione di non secondaria importanza: la croce. Per i primi cristiani è solo uno strumento di tortura, un patibolo su cui sono uccisi migliaia di fratelli e di schiavi: è il potere (il male), a loro contrario, a caricarla su di loro. E ritengono l’impero di Roma responsabile della condanna a morte di Gesù sulla croce. Questa inoltre intesa in senso lato, come dolore o afflizione, anche se la sanno portare bene (amando l’altro anche nel dolore) i cristiani non la cercano, anzi fanno tutto il possibile per allontanarla: “Papà, se vuoi, allontana da me questo calice”.
L’apparato burocratico gerarchico dell’impero invece stima la croce, e in generale la pena capitale, un valido strumento per comminare punizioni esemplari. Costantino, per tenere sottomessi i suoi soldati, nel 312 d.C. comanda che sia raffigurato su tutti gli scudi militari il simbolo del peggiore supplizio, quello della croce; con un tale ‘avvertimento’ ottiene dalle truppe una maggiore obbedienza e disciplina: è un ottimo esempio di violenza psicologia dettato dalle tecniche di costrizione proprie del potere (un’altra interpretazione è che l’imperatore fa raffigurare sugli scudi le iniziali greche di Cristo, χ ρ sovrapposte, che accompagnate in battaglia da raffigurazioni gigantesche della faccia del dio sole, indicano la potenza straordinaria della nuova alleanza fra divinità, che in futuro conduce ad un’unica religione). Egli comunque è uno dei pochi capi della storia che in guerra non perde alcuna battaglia.
L’imperatore Costantino ritiene inoltre che il duro sacrificio personale sia un mezzo efficace per annientare la personalità e tenere sottomesse le classi meno abbienti. Il tutto serve a mantenere l’ordine, com’è eufemisticamente chiamato l’assoggettamento al potere.

Occorre aprire un inciso. Nel II e III secolo d.C. gli imperatori prestano grande attenzione al movimento cristiano che si diffonde in tutto l’impero. Gli studiosi di corte analizzano le cause di tanta attrazione e giungono alla conclusione che il successo dei cristiani è dovuto a due fattori essenziali:
1) vivono l’amore scambievole tra loro, e molti di questi appartengono a classi socialmente inferiori e meno considerate, nei quali invece i cristiani vedono Gesù stesso;
2) le decisioni su ogni cosa riguardante la comunità sono prese da tutti i membri della comunità stessa assieme, giacché essi si considerano fratelli e pertanto alla pari, di pari dignità.

Di conseguenza i cristiani risultano assai uniti, ma non sono chiusi in sé stessi, giacché amano anche gli altri e chi è a loro nemico. Essi sono un cuor solo e un’anima sola e nelle loro comunità non vi sono poveri, giacché coloro che hanno proprietà e/o redditi donano liberamente il loro sovrappiù a un fondo comune, gestito dalla comunità tutta insieme, unicamente per dare la possibilità di lavoro e/o una paga dignitosa a chi si trova nell’indigenza e offrire una mensa per i casi più urgenti o necessari.
L’impero di Roma è spaventato soprattutto dal punto 2), che realizza un modello di democrazia diretta politico-economica, esattamente il contrario dell’organizzazione gerarchica del potere, e pertanto mina – sono parole di Diocleziano – le strutture stesse dell’impero. Anche il punto 1) è pericoloso in quanto dà vita a un gruppo compatto, unito, che valorizza gli ultimi e i deboli della scala sociale, gruppo che potrebbe diventare una forza in contrapposizione al potere assoluto del sovrano.
Da qui le persecuzioni, spesso molto crudeli e sistematiche, ordinate da svariati imperatori romani, le quali tuttavia non riescono a debellare il fenomeno.

A Costantino interessa compattare le strutture del comando e ha un’idea che per il potere è geniale: creare un’unica religione che tenga conto sia del paganesimo, la religione dominante, la cui massima divinità è la triade o trinità, e che ha un’organizzazione clericale gerarchica alle strette dipendenze del sommo pontefice (cioè dell’imperatore) sia del cristianesimo, o più precisamente di alcuni suoi aspetti, che però deve obbligatoriamente accettare ‘un’organizzazione clericale gerarchica’, i cui membri (dichiarati rappresentanti del Cristo) in realtà sarebbero tutti dipendenti dell’imperatore. Questi avrebbero il compito principale di sostituire sistematicamente la struttura della democrazia a decisione diretta, essenza del messaggio sociale cristiano.
Costantino ritiene che sia una soluzione valida la riduzione della moltitudine ormai inefficace degli dei pagani a una sola divinità, tanto più che il Dio dei cristiani ha la capacità di attrarre e di unire molto bene le persone! Per realizzare ciò deve separare la gerarchia civile da quella religiosa – come la scinde dapprima da quella militare – e rinunciare a essere dio lui stesso. Nel piano meticoloso di ristrutturazione della religione pagana. l’imperatore (egli cura sempre in ogni dettaglio le sue attività) prevede tali variazioni e sdoppiamenti, ma facendo sì che ogni cosa resti comunque sotto il suo stretto controllo.

Egli pertanto dichiara che il sovrano è tale per volontà di dio, sostituendo con questa formula la credenza nel sovrano-dio, e che l’alta gerarchia del clero rappresenta Dio, cioè, in effetti, sia il sovrano sia la gerarchia del clero esprimono la volontà di Dio. Con queste formule l’imperatore sostituisce la volontà del cielo (di Dio), espressione della volontà di tutta la comunità unita: “in verità vi dico” rivela difatti Gesù “ogni cosa che la comunità tutta assieme approva sulla terra è approvata anche in cielo e ogni cosa che essa respinge sulla terra è respinta anche in cielo”.
Per il potere romano in pratica permane quasi tutto come prima. Per quanto riguarda invece l’essenza del messaggio cristiano e la novità delle sue strutture, che possono rivoluzionare la società civile, non se ne deve neppure parlare. Vi sono sì i documenti dei seguaci di Gesù, specialmente quelli dei primi due secoli, contenenti idee pericolose per il sistema dominante, ma dato che le copie in circolazione sono assai poche (la stampa è inventata in Europa millecento anni dopo! – ndr) e l’analfabetismo è diffuso, è sufficiente formare dei ‘predicatori’ addomesticati, che non debordino dagli ordini di scuderia.

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LA NASCITA D’UNA NUOVA RELIGIONE

Ricordiamo qui che Costantino I° è un pagano e tale resta per tutta la sua vita, salvo gli ultimi istanti: secondo Eusebio, infatti, viene battezzato presso Nicomedia pochi istanti prima di spirare, quando ormai è in coma, col rito ariano. Alcuni studiosi non ritengono vera tale notizia, ma si tenga presente che vi è in ballo una grossa fetta d’eredità spettante all’alta gerarchia clericale della religione professata dall’imperatore.
In base al piano studiato dal sommo pontefice Costantino, una volta realizzate rapidamente le fondamenta della nuova religione, se ne deve effettuare il completamento in maniera graduale, mentre il precedente paganesimo va temporaneamente mantenuto per non provocare troppe reazioni. Lungo il corso del IV secolo essa è definita abbastanza compiutamente (quando ‘crea’ una religione, il potere stabilisce i punti base di essa in modo che siano puntello del potere stesso) e nel 380 d.C. diventa ufficialmente religione di Stato e viene denominata cattolica, vale a dire universale, giacché è resa obbligatoria in tutto il mondo sottomesso a Roma. Riportiamo qui di seguito le fasi salienti.

Un capo sa bene che, per soggiogare la massa, la struttura portante e decisiva è quella gerarchica, che è invece nettamente rifiutata, come visto, da Gesù e dai primi cristiani, i quali la sostituiscono con una struttura viva che dà l’autorità delle decisioni a tutti i membri della comunità assieme.
Un capo sa che puntello del suo prestigio sono anche i suoi edifici pregevoli, i miti che fabbrica e il culto dei simboli che impone.
Nell’ottobre del 313 d.C. è promulgato l’editto di Milano (vari studiosi ritengono che tale editto non sia mai esistito), e viene concessa la libertà di fede ai cristiani, solo a quelli però … che accettano i dettami religiosi del pagano imperatore!
Costantino il Grande pertanto propone al presbitero Milziade, eletto anni prima da tutta la comunità cristiana di Roma, un’organizzazione di tipo gerarchico clericale per la guida della comunità stessa, con al vertice un sommo sacerdote, sotto il diretto controllo imperiale (si ricorda qui che il cristianesimo originale non ha organi clericali, ma solo laicali). Milziade forse non si pronuncia subito sull’offerta (non si hanno notizie certe in proposito, giacché il factotum Costantino fa presentare gli avvenimenti non come si svolgono realmente, ma come lui vuole che appaiano), tuttavia prende atto del rifiuto espresso dall’assemblea dei cristiani e d’altronde non è d’accordo egli stesso su certe dottrine teologiche del pagano Costantino, che vuole una futuribile fusione dei due credi. Il presbitero secondo alcuni non accetta affatto le proposte, secondo altri è nel dubbio: in conclusione il sovrano lo bolla come inaffidabile e incapace.
Pochi giorni dopo, siamo nel gennaio del 314 d.C., Milziade muore, o viene ucciso, in circostanze oscure – nell’antichità lo considerano un martire – ed in sua sostituzione Costantino fa immediatamente eleggere da una cerchia ristretta un proprio cortigiano, quindi della casta degli ‘aristocratici’, un nobile ricchissimo e totalmente ligio ai voleri dell’imperatore, dal nome di Silvestro, probabilmente uno dei suoi eunuchi, e lo pone o meglio lo impone come capo sorvegliante della religione (dal futuro nome di) cattolica, concedendogli anche il titolo di sommo pontefice. Da notare che questa è una carica fino ad allora ricoperta soltanto dall’imperatore, la quale viene ora ereditata da uno dei suoi cortigiani. Più precisamente il sovrano sdoppia la carica, mantenendo per sé quella di sommo pontefice dell’organizzazione clericale gerarchica pagana: di questa, pertanto, la nuova carica dell’organizzazione clericale gerarchica cattolica è solo una mera clonazione, alle rigide dipendenze dell’imperatore romano.
I secolari persecutori dei cristiani ora si proclamano capi del cristianesimo.

Invero, sulla base del modello amministrativo dell’impero, anche per la neo religione il territorio è suddiviso in diocesi, già operanti in modo analogo nel campo civile, con a capo un sorvegliante, chiamato ‘vescovo’ (lo stesso nome che ha di già il suo collega pagano), cui sono concessi incarichi giurisdizionali, oltre a un elevato reddito fisso e a una serie di privilegi e immunità fiscali. Costui ha alle proprie dipendenze dei sacerdoti – il novello clero (dal futuro nome di) cattolico – che lo aiutano a svolgere le funzioni cui è preposto, che sono da lui nominati e che a lui debbono obbedienza. Fatto gravissimo è che la nomina del vescovo, previa approvazione del monarca, e degli addetti ai servizi – ora ministeri – diventa un diritto solo del clero, per cui queste persone non sono elette liberamente, salvo rari casi, da tutta la comunità.

Adesso soltanto una casta del clero, creata dall’imperatore pagano e che sta alle sue strette dipendenze, ha il diritto di decidere sui cristiani e di nominare i ‘superiori clericali’. Col tempo unicamente l’alta gerarchia ha diritto di decisione e nomina. In pratica la struttura sociale propria del cristianesimo, vale a dire la comunità stessa deve prendere le decisioni su ogni cosa che la riguarda (in termini moderni è la Sovranità del popolo o democrazia diretta), è sostituita dal sovrano romano con la gerarchia da lui edificata. Costantino può in tal modo affossare l’essenza del messaggio sociale trasmesso da Gesù.

A tutti i cristiani laici, che devono essere nettamente distinti dal clero, è tolta ogni possibilità di esercitare il loro sacerdozio regale, ossia la loro sovranità nel prendere decisioni: questo è l’opposto del cristianesimo, poiché, ripetiamo, per Gesù è fondamentale che le decisioni siano prese direttamente da tutti i membri della comunità, in ogni tempo della storia.
Dal cattolicesimo è vietato ai laici pure di spezzare il pane nelle case, che adesso spetta unicamente al neo clero cattolico, mentre l’amore scambievole e ‘Gesù in mezzo’ sono spediti in cielo sopra le nuvole, e vissuti solo dalla divinità, in pratica sono messi nel dimenticatoio.
È inoltre vietato alle donne e agli schiavi – la maggioranza della popolazione – sia di possedere alcunché sia di diventare sacerdoti. Alle donne è anche vietato imparare a leggere e scrivere e parlare in pubblico.
Invece il cortigiano Silvestro è il primo sommo pontefice della nuova religione (dal futuro nome di) cattolica e per l’occasione l’imperatore gli offre in dono, essendo il suo prestanome, una lussuosissima residenza: il complesso dei palazzi laterani ricchi di marmi pregiati, embrione dei possedimenti papali. Il sommo pontefice Silvestro, un aristocratico vestito di abiti preziosi con orpelli d’oro e fiancheggiato da uno stuolo di guardie armate, per oltre un ventennio (spira il 31 dicembre 335 d.C.) lascia via libera al monarca pagano di prendere qualsiasi decisione in materia di fede.
Per imporsi alla massa sono necessari all’organizzazione gerarchica fabbricati e templi monumentali, il sovrano fa quindi costruire il primo edificio per il culto dei fedeli dal futuro nome di cattolici: S. Maria Maggiore a Roma. I cristiani delle origini, lo sappiamo, rifiutano sempre di possedere detti costosi edifici, in modo da poter destinare i fondi all’eliminazione dell’indigenza (tra loro non ci sono poveri) e da non trasformare la vita, cioè l’essere amore, in religione o potere.
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NOTA: – Nella pratica comune, come segni di riconoscimento degli oggetti, si danno dei nomi agli oggetti stessi. Allo stesso modo i potenti si danno dei segni di riconoscimento, offerti da palazzi monumentali, da abiti o divise che manifestano la distinzione, da mezzi di trasporto costosi, dalla diffusione di loro effigi materiali, da uno stuolo di adulatori ossequienti, dalla prelazione sull’informazione, da regole formali buone alla sudditanza, ecc., segni ritenuti idonei ad imporre il proprio prestigio all’esterno (ndr).
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A Costantino non interessa di sviluppare la vita portata da Gesù con le sue conseguenze spirituali e sociali, ma di definire concetti teologici che si accordino con la filosofia del potere, per cui egli interviene direttamente nelle questioni della dottrina religiosa, facendola modificare ove e ogni volta che lo ritenga opportuno. Le definizioni teologiche, quelle che ingiungono un Dio-formula o un Dio-nome cui credere, invece del Dio-Vita che si realizza, permettono di confrontare teorie e aspirazioni dei fedeli, di gruppi, del clero, di chiunque e di giudicarne la conformità ai dettami ufficiali: in caso contrario scatta l’accusa di eresia, considerata crimine contro lo Stato – cioè non in linea con la dottrina dei dominanti – e pertanto punita in maniera severa, sovente con la morte.
Il ‘Dio tra noi’ dei primi cristiani diventa il ‘dio con noi’ dei personaggi del potere.
LA STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CRISTIANI NON APPROVA O RIFIUTA tutte queste e altre manipolazioni della loro vita, ma il monarca persiste nel suo disegno e introduce a corte eruditi cattolici e teologi di sua fiducia, scelti anche fra i ‘lapsi’ (= ‘caduti’, cristiani diventati pagani per sfuggire alle persecuzioni anteriori al 313 d.C.), i quali stendono teorie religiose e documenti secondo i suoi dettami, pur se spesso il loro contenuto è in contrasto con gli insegnamenti di Gesù o non rispettano la verità storica.

Anche svariati vescovi sono scelti da Costantino fra i suoi dipendenti o fra i lapsi, essendo tutti costoro più malleabili ai suoi voleri. Ovviamente i più accondiscendenti ricevono in cambio lauti compensi. Sono così poste le premesse perché il potere gerarchico imperiale e il neopotere gerarchico clericale possano convivere in ‘armonia’, che è mantenuta sostanzialmente per tutta la durata dell’impero.
Un esempio indicativo del malessere che invece provano i cristiani a seguito della nuova situazione è dato dal cosiddetto ‘donatismo’. Circa settanta vescovi riescono nell’anno 315 d.C. a far eleggere vescovo di Cartagine Donato, un uomo giusto, al posto di quello esistente, Ceciliano, un corrotto rinnegato. Alcuni delegati si recano dall’imperatore per difendere la loro tesi, ciononostante il pagano Costantino non solo ratifica l’elezione precedente (segretamente favorita da lui nel 311, come altre in vari tempi, allorché imposta il piano della nuova religione), ma contro i donatisti, che persistono nel chiedere di non consacrare altri sacerdoti indegni, dà inizio nel 316 d.C. a una feroce azione di repressione. Il suo successore, il figliolo Costante I, abbraccia la religione cattolica e instaura contro costoro un regime di persecuzione. Nel 414 d.C. i donatisti sono privati di tutti i diritti civili e, se non cessano la loro attività, subiscono la condanna a morte (e questo è l’antitesi del cristianesimo! – ndr).
I cristiani fanno appello alla vita di relazione e alle realizzazioni (democratiche) portate da Gesù, di cui non vedono la rispondenza col sistema e la teologia imposti. Il mattatore Costantino allora, ispirandosi alle vestali e probabilmente agli eremiti pagani, decide che chi desidera intensamente vivere il messaggio di Gesù può farlo, però sotto strettissima sorveglianza e in luoghi appositi o meglio in edifici appositi. Il monarca dà inizio all’uopo a una nuova espressione religiosa: il monachesimo.

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IL MONACHESIMO CATTOLICO

Costantino incarica Pacomio, un suo miliziano egiziano ex combattente contro Massenzio, di trovare una forma a quelli che sono i primi monasteri. Il nostro uomo, dopo essersi fatto battezzare, prende contatti con un connazionale di nome Antonio, uomo di cultura d’Alessandria, noto per i suoi periodi vissuti nel deserto, un giusto che ha la capacità di attirare le persone.
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NOTA: – Attorno alla metà del III secolo d.C. l’imperatore Decio dà inizio in tutto l’impero a una sistematica persecuzione contro i cristiani. In Egitto alcuni di loro riescono a salvarsi fuggendo, costretti, nel deserto. Qui devono adattarsi all’ambiente ostico: abitano generalmente in grotte, mangiano gli scarsi cibi che riescono a racimolare, vivono nell’unione con Dio e nell’amore verso gli esseri umani che condividono la loro sorte. Non risulta che conducano una vita individuale da eremita, salvo forse qualcuno per scelta personale, fino all’avvento del cattolicesimo, cioè dopo oltre 70 anni.
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Pacomio si fa discepolo di Antonio e, tenendo conto dell’esperienza del maestro e dei suggerimenti dell’imperatore, stila una ‘regola’ e fonda un grande monastero su un’isola del Nilo, il primo in assoluto nel mondo cattolico: siamo nel 322 d.C. Con il beneplacito del sovrano affluiscono colà migliaia di persone desiderose di ‘vivere le scritture’.
Visto il successo dell’iniziativa, Pacomio crea altri otto monasteri maschili e, tramite sua sorella Maria, due conventi femminili. Ogni appartenente, monaco o monaca, è obbligato a obbedire assolutamente a un superiore, chiamato rispettivamente abate o badessa. Pure l’Antonio di cui sopra deve diventare abate.
In questa fase iniziale i membri possono liberamente lasciare quel sistema di vita.
Il cenobio (dal greco: koinóbion ‘vita comune’) codificato da Pacomio e Antonio Abate, è portato a Roma e in Occidente da Atanasio d’Alessandria, sempre su richiesta del monarca romano (non si muove foglia che Costantino non voglia). Alcuni decenni dopo, nel 360 d.C., il monachesimo cattolico è introdotto in Oriente da Basilio. Questi ritiene che i beni del mondo siano di tutti e pertanto la proprietà privata è frutto di usurpazioni: allora gli fanno compilare la sua regola, che deve essere osservata dentro i monasteri dall’ordine da lui fondato.

Diciamo che dal IV secolo d.C. il potere dà un forte impulso altresì al fenomeno degli eremiti cattolici individuali, i quali menano una vita di penitenza e preghiera, specialmente nella solitudine del deserto. Questo tipo di ascetismo raggiunge la sua forma estrema agli inizi del V secolo con i cosiddetti stiliti, che vivono seduti sulla sommità di una colonna per molti anni, sovente fino alla morte, dove pregano per lunghe ore soprattutto la notte, mangiano un prestabilito numero di granaglie, né una di più perché sarebbe gola né una di meno perché sarebbe presunzione. Le colonne raggiungono dai 3 ai 20 metri di altezza. Il primo a salirvi è Simeone il Vecchio, in Oriente, e presto la moda si diffonde in tutto l’impero; pellegrini accorrono da ogni dove a vedere gli stiliti, presso cui si recano, a volte, pure i monarchi per avere consigli … dall’alto.
Quello che interessa comunque al potere è soprattutto il monastero, dove possono essere convogliati e tenuti sotto controllo tutti coloro che desiderano vivere compiutamente il messaggio di Gesù. Costoro sono ‘socialmente pericolosi’, perché possono realizzare l’essenza sociale del cristianesimo, offerta dal magnificat di Maria, dall’amore reciproco, dalla concreta comunione dei santi e delle decisioni, dalla valorizzazione degli individui meno considerati.
Col passare del tempo la regola viene perfezionata e resa molto rigida (qualche studioso fa l’ipotesi che sia ispirata anche ai regolamenti carcerari contemporanei): le persone che accettano le condizioni cattoliche vengono incanalate nel monastero, dove restano per tutta la loro esistenza. Affinché non abbiano ripensamenti, i monaci (lo stesso vale per la parte femminile) debbono giurare solennemente a dio (fare voto) di osservare in perpetuo:
obbedienza, ossia ognuno deve perdere la propria volontà per fare solo quella di dio, in effetti quella dei superiori (anche se questa nella pratica è a volte in contrasto … col messaggio cristiano);
castità, ossia negare la vita ai propri figli per macerarsi nella penitenza e nel controllo dei sensi. A chi vuol raggiungere la vita ’perfetta’ secondo il potere è pertanto … vietato il matrimonio;
povertà, ossia dare al convento tutti i propri beni e ricavi, che vengono amministrati esclusivamente … dai superiori.

Gli appartenenti al monastero si dedicano per lunghe ore alla preghiera e al lavoro; è concessa loro la possibilità di conservare, copiare e leggere la Bibbia al fine meramente spirituale di edificazione della propria anima. Più tardi, fra coloro che imparano a leggere e scrivere vengono scelti i più idonei a effettuare gli studi di teologia.

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LA TEOLOGIA IMPERIALE

Molti cristiani controbattono il contenuto dei voti monastici: nelle scritture l’obbedienza agli uomini non è accettata, quanto alla verginità non vi è alcun comando del Signore, anzi è considerato peccato contro lo Spirito di Dio vietare il matrimonio (I Tim 4,1-3). Dai tempi di Abramo – circa 1800 anni a.C. – i fedeli della Bibbia comprendono, facendo fare all’umanità un grande balzo in avanti, che non deve essere sacrificata la vita dei propri figli alla divinità, il Dio della Vita non ha bisogno di tali offerte! Inoltre, i beni materiali vanno dati per permettere ai bisognosi di lavorare e avere una paga dignitosa, e toglierli così dall’indigenza, e non ai capi. Gesù annuncia che siamo tutti alla pari, figli dello stesso Papà, non superiori ‘paterni’ e inferiori, e condanna duramente qualsiasi tipo di giuramento o voto, perché questi non sono altro che forme di asservimento al potere gerarchico, vale a dire di discriminazione e di ‘controllo del cervello’.
Il pagano imperatore incarica i teologi e gli eruditi di corte di dimostrare invece, attraverso definizioni teologiche e documenti scritti di proposito, che le sue proprie tesi sono valide. Vediamo le conclusioni a cui quei cortigiani pervengono e gli sviluppi successivi.

Obbedienza – Il superiore ecclesiastico rappresenta … dio, per cui obbedire al superiore è obbedire a dio e non agli uomini! Questo deve valere per tutti i cattolici nei confronti del vescovo locale e, nei monasteri, per i monaci nei confronti del loro abate.
Ogni appartenente al clero o monaco deve controllare gli altri, affinché rispettino le regole imposte (ivi il controllo reciproco e il conseguente giudizio soppiantano l’amore reciproco). Tutti poi devono obbedienza al sommo pontefice, carica già appannaggio dell’imperatore romano e ora trasmessa a un proprio dipendente, che sotto questo aspetto è a tutti gli effetti il successore dei vari sommi pontefici Costantino, Diocleziano, Decio, Domiziano, Nerone.
Occorre precisare che tale carica è ASSOLUTAMENTE INESISTENTE presso i primi cristiani. E non vi è traccia di alcun documento dei primi due secoli, né canonico né apocrifo, da cui risulti la venuta di Pietro a Roma o COMUNQUE che il presbitero della capitale abbia il potere suddetto. Gesù e Pietro non assumono mai la carica di ‘sommi pontefici’, anzi sono proprio questi ultimi che perseguitano loro. Pietro svolge la sua missione di inviato a Gerusalemme, in Palestina e su fino ad Antiochia e, molto attendibilmente, in parte dell’Anatolia e in Mesopotamia.
Anche a ciascuno degli altri apostoli sono assegnate delle zone: l’India a Tommaso, l’Arabia a Bartolomeo, le terre dei gentili, dall’Anatolia occidentale e Grecia fino alla Spagna, a Paolo, e così via. Alcuni formulano l’ipotesi che Pietro sia ucciso a Babilonia (o a Gerusalemme) attorno al 58 d.C.

Immediatamente Paolo, tornato in Palestina dal terzo viaggio missionario, benché sconsigliato dai seguaci per il pericolo cui si espone, corre a Gerusalemme, dove incontra Giacomo e gli altri presbiteri. Il posto di Pietro nella comunità di Gerusalemme è difatti affidato ora a Giacomo, uno dei quattro fratelli di Gesù, tenuto in grande considerazione dai cristiani dell’epoca. Paolo, recatosi poi nel tempio, è riconosciuto dai dipendenti dei sommi sacerdoti, i quali gli sobillano contro un folto gruppo di integralisti religiosi. Questi s’impadroniscono di lui, lo trascinano in strada fra percosse e insulti e stanno per linciarlo, allorché prontamente il tribuno della vicina coorte romana interviene con i soldati per sedare il tumulto, arresta l’apostolo e, facendosi largo in mezzo alla ressa dei fanatici che urlano “a morte, a morte!”, lo conduce dentro la fortezza. Paolo così salva la vita.
Con Giacomo è dato inizio alla raccolta degli scritti che formano la base dei vangeli in greco di Marco, Luca e Matteo; vangeli completati dopo la morte del fratello di Gesù. Invero nel 62 d.C. il re Agrippa II nomina sommo sacerdote giudaico Anan (figlio di quell’Anna che con Caifa fanno condannare il Maestro), il quale fa lapidare Giacomo agli inizi del 63, approfittando dell’intervallo fra la morte del procuratore romano Festo e l’arrivo del successore.
La comunità cristiana locale elegge allora al suo posto l’altro fratello di Gesù, Simeone (secondo alcuni non lui, ma un suo omonimo cugino carnale). Forse prima ancora è eletto Joses, ma non si hanno notizie certe. Simeone resta presbitero di Gerusalemme sino a tarda età, quando subisce il martirio agli inizi del II secolo d.C. Al posto suo si succedono di seguito ben 13 presbiteri, a causa delle continue persecuzioni, fino alla seconda rivolta ebraica.

Nel 134 d.C. le legioni di Adriano occupano Gerusalemme con grande spargimento di sangue, i prigionieri sono venduti come schiavi e la città diviene colonia romana vietata ai giudei. Pure i cristiani sopravvissuti devono tutti fuggire: una parte si stanzia in Egitto, i più in Giordania e Siria.
A questi ultimi è dato il nome di ebioniti (i poveri), a motivo delle miserabili condizioni socio economiche in cui sono costretti a vivere (conosciamo quante difficoltà e sofferenze affrontano anche al giorno d’oggi tutte le popolazioni che emigrano) e viene eletto presbitero della comunità un cristiano ebraico di nome Marco, che svolge il servizio dal 135 al 155 circa. Dopo di lui ne vengono eletti altri, lungo il corso degli anni.
Nel IV secolo il potere (dal futuro nome di) cattolico di Roma fa dichiarare gli ebioniti colpevoli di eresia – cioè di crimine contro lo Stato – perché non si conformano alle ‘definizioni teologiche’ imposte dall’imperatore, e inizia una sanguinaria sottaciuta persecuzione contro di essi (ed è questo il vero crimine!). Nel 380 d.C. il monarca cattolico Teodosio e il sommo pontefice Damaso mandano tutti i superstiti al rogo e da allora non resta più traccia di vita degli ebioniti: il motivo scatenante il genocidio è probabilmente che non ci sia nessuno che possa rivendicare una successione di Pietro.

Difatti fin dall’inizio il pagano Costantino I procede a un’accuratissima eliminazione di ogni frase o documento precedenti riguardanti il martirio dell’apostolo Pietro. Poco dopo, nel 324 d.C., fa redigere dal suo cortigiano greco Eusebio, un ariano moderato, una ‘storia ecclesiastica’, che più volte è fatta modificare dallo stesso imperatore a seconda delle convenienze. Ivi, l’imperatore, per dare un fondamento giuridico e religioso alla carica di sommo pontefice cattolico da lui assegnata al suo dipendente (con le contestazioni dei cristiani), trova conveniente di far ritenere alla gente, e lo fa scrivere da Eusebio, che Pietro si reca a Roma, è lì fatto vescovo della città ed è martirizzato sotto Nerone. In base a tale scritto il monarca dichiara e impone di credere che il suo cortigiano, anch’egli ariano, Silvestro, un ricco nobile vestito di abiti sfarzosi laminati d’oro e scortato da una schiera di armati, sia lui il successore dell’apostolo e quindi di Gesù: in verità è solamente l’erede di un’alta carica gerarchica tenuta e sdoppiata da Costantino.
Eusebio ‘deve escogitare’ per il suo sovrano pure i nomi dei ‘primi successori’ di Pietro nell’Urbe, che anacronisticamente chiama vescovi nel significato monarchico imposto dall’imperatore, in un’improbabile successione quasi regolare di dodici anni ciascuno, prendendo a modello la cronologia delle olimpiadi greche.

Anche per quanto concerne l’obbedienza ai vescovi locali, Costantino il Grande fa scrivere da un suo teologo 13 lettere, di cui viene dichiarato autore Ignazio, un presbitero cristiano, dato in pasto ai leoni nel circo Massimo attorno all’anno 111 d.C. In realtà esse sono ricavate interpolando, riducendo o ampliando alcuni scritti autentici del martire.
In quasi tutte le 13 lettere suddette si parla, fra le altre cose, del dovere delle comunità territoriali di obbedire e stare sottomessi al vescovo locale, perché in questo modo si è sottomessi a dio (di fatto al potente imperatore). È evidente la differenza sostanziale da quanto vivono nelle prime comunità cristiane, dove il presbitero è al servizio della comunità, in cui tutti gli appartenenti insieme prendono le decisioni e dove il rapporto con Dio è Amore. Fin oltre il medioevo, i suddetti documenti fanno testo negli ambienti cattolici. Secoli dopo è accertata la falsità di 6 di quelle lettere, ma in effetti possiamo affermare con una certa sicurezza che solo una (salvo alcuni particolari) è autentica di Ignazio e non riporta assolutamente l’argomento citato sopra.
In definitiva si arriva a imporre l’obbedienza come … volontà di dio, di fatto la volontà dei superiori. Per i cristiani però vale l’affermazione di Pietro: “non bisogna obbedire agli individui”, e la volontà di Dio invece è espressa da ogni frase di Gesù riportata nel nuovo testamento, frasi di Amore da vivere nella vita pratica di tutti i giorni sia sul piano individuale sia su quello interpersonale sia su quello comunitario. Pertanto i vangeli e le altre scritture dei primi cristiani di Gerusalemme sono resi difficilmente accessibili alla massa e quasi subito proibiti; anche tantissimi scritti, pur essendo molto validi, non sono considerati o riconosciuti dal potere di Roma, e molti soprattutto i vangeli, sono distrutti o significatamente modificati.
Gesù dice ai suoi seguaci: “chi ascolta voi ascolta me”, intendendo dire “chi ascolta voi che realizzate e rendete visibile il mio messaggio, ascolta le mie parole, ossia ascolta me”. Dopo i falsi storici dettati dal furbo Costantino la frase è spiegata nel significato opposto: “chi ascolta i superiori clericali, ascolta me”, l’inverso cioè della rivelazione fatta da Gesù!
Basterebbe quanto finora descritto per far crollare l’impalcatura degli pseudo-rappresentanti o meglio dei non-rappresentanti del cristianesimo.

Castità – È ben presto vietato il matrimonio a chi entra in monastero e ciò per varie ragioni: la verginità è considerata dalla religione pagana e dal potere uno dei valori maggiori ed è divinizzata dalla mitologia, vedi le dee vergini; il sacrificare i figli potenziali alla divinità è assai considerato fra la numerosa gente pagana, vedi le vestali; avere eredi può originare alla lunga una dinastia di potere (per i ‘superiori’ clericali) e ciò non è accettabile dalla gerarchia civile; dal punto di vista pratico appare difficoltoso passare in penitenza tutta l’esistenza fra le chiuse mura di un monastero in maniera promiscua.
Va precisato che la verginità perpetua non è contemplata presso i primi cristiani salvo eventualmente per gli eunuchi (Mt 19; 9-12). Paolo afferma che “quanto alle vergini (nel linguaggio biblico con questo vocabolo s’intendono le ragazze da marito – ndr) non ho alcun comando da parte del Signore”.
Per inciso rileviamo che gli eunuchi sono a quei tempi alquanto numerosi: lo stesso Costantino preferisce circondarsi – poiché ai potenti fa comodo – di uno stuolo di cortigiani castrati e il capo di questi diventa un personaggio influente a corte (pure ai nostri giorni l’orribile piaga è estesa e si stima che i maschi mutilati nel mondo siano 55 milioni, di cui la metà in Cina – ndr). Qualche indizio lascia ipotizzare forse che Paolo sia tale.
Gesù nella parabola racconta: come nella vita comune sono stolte le ragazze da sposare che, per non tenere accesa la lampada dell’olio, non trovano marito, mentre sono sagge le altre, così è anche nella vita evangelica, per chi tiene o non tiene acceso l’Amore, trova o non trova il Signore.
Paolo nella prima lettera ai Corinzi afferma: “non abbiamo noi il diritto di avere con noi una sposa che vive questa realtà, come già hanno sia gli altri apostoli sia i fratelli del Signore sia Pietro?”.
Lo stesso Paolo dice al discepolo Timoteo: “bisogna che il presbitero della comunità sia irreprensibile, marito di una sola moglie”. E ancora gli confida: “lo Spirito dichiara apertamente che in futuro alcuni si allontanano dalla vera fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine malefiche, sedotti dall’ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza, i quali vietano il matrimonio …”.
Nel corso dei primi tre secoli tutti i cristiani sanno che Gesù ha quattro fratelli, figli di Giuseppe, i cui nomi sono riportati dai vangeli oltre che da altri documenti, e alcune sorelle. I fratelli sono: Giacomo il minore, Joses (= Giuseppe), Giuda e Simeone; Maria è detta madre di Giacomo il minore e di Joses anche dagli evangelisti canonici.
Sempre nei primi tre secoli sono diffusi fra i cristiani vari vangeli che riportano l’unione, anche fisica, di Gesù con Maria di Magdala e questa, da un certo momento in poi, è nominata prima della madre di Gesù anche nei vangeli canonici. Gesù mostra la sua presenza dapprima a lei, dopo la resurrezione operata da Dio, e le dice, mentre lei gli si abbraccia ai piedi secondo l’usanza del tempo: “levati, non toccarmi, perché non sono ancora salito al Papà mio”.
Nel frammento di un documento dell’epoca, in greco, è scritto: “il mattino della domenica Maria di Magdala … ancora non compie alla tomba del Signore quegli uffici che sono solite compiere le mogli (le donne) verso i loro cari che muoiono; ella prende pertanto con sé le amiche e si reca al sepolcro”.

A Costantino però preme di dare una giustificazione alla sua politica religiosa: ai teologi ed eruditi di corte fa scrivere documenti in cui devono asserire che i fratelli di Gesù sono sì figli di Giuseppe, ma avuti da un’altra donna in prime nozze; rimasto vedovo, Giuseppe sposa in tarda età Maria, la madre di Gesù! E non basta, fa anche scrivere che uno scrittore cristiano dei secoli precedenti afferma che nel vangelo di Pietro (distrutto dai sommi pontefici) è confermata questa versione dei fatti. Per alcuni decenni i cattolici del IV secolo devono crederci.
In seguito, essendovi obiezioni fondate, il potere dà incarico di trovare una nuova soluzione a un uomo colto ed eremita, Gerolamo. Nella ‘vulgata’ questi commenta che i fratelli di Gesù non sono proprio fratelli, ma … cugini o parenti, perché nella lingua aramaica si usa la stessa parola per i diversi significati; però bleffa quando non tiene conto del fatto che i vangeli (salvo quelli degli ebioniti e di altri, distrutti dal potere cattolico), le lettere del nuovo testamento e molti documenti del primo secolo sono tutti scritti originalmente in lingua greca, che ha un vocabolo per indicare ‘fratello’ (adelphós) nettamente distinto dal vocabolo ‘cugino’ (anepsiós). Gli evangelisti e Paolo sanno molto bene quello che scrivono e lo sanno perfettamente.
Gerolamo introduce altre inesattezze nella traduzione dei vangeli che tuttora sussistono. Nella versione cattolica italiana – a parte che ‘Padre nostro’ va letto invece ‘Papà nostro’ – ricordiamo qui soltanto la frase: “chi non odia (oppure: chi non lascia) suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo”, dove è messa la parola ‘odia’ o ‘lascia’ per far intendere che consacrarsi significa … abbandonare tutto per entrare nell’ambiente del clero! Come se ai tempi di Gesù i cristiani lascino il mondo per ritirarsi all’interno di una casta!
Più propriamente la frase di Gesù va intesa: “se (Dio Amore, vale a dire l’amore verso gli altri) non è anteposto al proprio padre, alla propria madre, alla moglie, ai figli, ai fratelli, alle sorelle e persino alla propria vita, non si può essere suo discepolo”, cioè l’Amore va al primo posto su tutto. In tal modo si è uniti fraternamente non solo ai parenti naturali, ma a centinaia di altre persone! E questo lo possono fare tutti.
Il bellissimo vangelo e tutti gli scritti che riportano l’unione tra Gesù e Maria di Magdala sono resi sconosciuti ai laici dal potere clericale, il quale agli inizi del V secolo d.C. li bolla in maniera infamante, ordinandone la distruzione assieme a tutti i vangeli originali esistenti!

Apriamo una parentesi: i vangeli del primo e secondo secolo sono circa 500, scritti da ciascuna delle altrettante comunità cristiane sparse nel mondo, vangeli utilizzati e vissuti per più di duecento anni dai seguaci di Gesù. La gerarchia cattolica, istituita nel IV secolo da Costantino e auto-erettasi a rappresentante di dio, li fa DISTRUGGERE TUTTI, poiché contengono idee contrarie alle dottrine e tradizioni del potere. Non potendo ‘dimenticarli’ completamente, la gerarchia fa scrivere delle copie di quattro di essi, già evidenziati in precedenza, con l’inserimento di molte glosse, che riportano soprattutto la parte miracolistica e verginistica, l’ammorbidimento delle responsabilità dei capi romani per l’ordine d’uccidere Gesù, l’obbedienza ai ‘superiori’ e le altre teorie agostiniane. Ma anche così tali copie di vangeli contengono elementi pericolosi per le istituzioni, pertanto la gerarchia ne PROIBISCE LA LETTURA ai laici, con pene durissime per chi osa leggerle, specialmente se tradotte dal latino nelle lingue locali; e questo per 1100 anni e oltre.
L’inserimento da parte dell’alto clero di glosse interlineari nelle copie dei vangeli superstiti continua per tutto il medioevo, con lo scopo di rendere più credibili alcuni passi teologici propri del cattolicesimo di Agostino.
Col divieto della lettura dei testi sacri è interdetta ai laici la conoscenza dell’autentico messaggio sociale del cristianesimo (che è nettamente contrario al sistema di potere gerarchico) e soprattutto dell’amore scambievole e della democrazia vissuta dai primi cristiani, che rendono la moltitudine un cuor solo e un’anima sola, attraverso cui ogni decisione importante sulle esigenze della comunità è presa – per istituzione – direttamente da tutta la comunità, alla pari, e sono messi a disposizione proventi e beni in sovrappiù, affinché sia data direttamente la possibilità, a chi si trova nell’indigenza (Gesù stesso s’identifica con questi), d’iniziare un’attività lavorativa o di avere una paga dignitosa.
Di queste cose assolutamente non si deve più parlare e il tutto è sostituito da una gerarchia clericale, imposta dall’imperatore pagano Costantino, ma fatta credere istituita dal Dio dei vangeli, la quale decide su tutto, incamera quasi tutti i beni raccolti e alle cui regole tutti debbono uniformarsi e sottomettersi. Tanto il popolo non lo sa, non potendo più leggere i vangeli! E se lo sa c’è il rogo.

La verginità fisica perpetua, valore massimo del paganesimo, diventa norma disciplinare d’importanza primaria secondo i capi cattolici. Predicatori in tutto l’impero – famoso in tal senso è Ambrogio a Milano, noto anche per l’acceso fervore nel distruggere sinagoghe ebraiche – cercano di convincere le donne e soprattutto le giovanette a entrare in convento (e la gerarchia incamera i loro beni), facendo credere che per raggiungere la perfezione richiesta da Dio sia necessario seguire le regole che determinano il comportamento dentro quelle celle. Giusto qualcuno arriva al misticismo. In realtà si raggiunge, col sacrificio dell’individuo, la sottomissione ai superiori (la quale provoca di frequente depressione nervosa) e … l’aborto canonico, ossia l’immolazione della vita potenziale dei propri figli alla ‘divinità’. In pratica la lotta, nonviolenta, contro le strutture logoranti del potere è astutamente sostituita dalla lotta contro le … naturali esigenze sessuali, la quale lotta può provocare anch’essa depressione nervosa (ricordiamo che Paolo ritiene inutile la pratica della circoncisione, perché quello che vale è quanto si ama, indipendentemente dal fatto che si abbia o non si abbia un pezzetto di pelle del pene. Lo stesso si può dire della verginità fisica: quello che vale è quanto si ama, indipendentemente dalla condizione di un pezzetto di pelle della vagina – ndr).

Dal VI secolo d.C., scomparsi gli imperatori d’Occidente, il celibato è reso obbligatorio dal potere politico-religioso per tutto il clero di rito latino, vescovi compresi, anche a evitare che le rendite ecclesiastiche vadano ai figli dei preti (ripetiamo le parole di Paolo: “alcuni si allontanano dalla vera fede … sedotti dall’ipocrisia di impostori … i quali vietano il matrimonio”). Gli imperatori d’Oriente, in seguito ortodossi, giacché hanno la diretta sottomissione del clero, non ritengono necessario il divieto del matrimonio se non per i patriarchi (= vescovi).

Nel secolo XVI il concilio di Trento decide che può essere canonizzato ‘santo’ solamente chi non è sposato, a meno che questi non muoia martire o … vedovo!
Ed è proibito al clero di far sapere ai laici – è il colmo dell’ipocrisia e della discriminazione – che la gerarchia cattolica vieta di canonizzare ‘santi’ i coniugati, sia maschi sia femmine: è uno dei segni dell’apartheid instaurata dal clericalismo nei riguardi degli sposati e, in generale, del laicato. Tale discriminazione dura tutt’oggi. Di conseguenza il sesso, creato da Dio, diventa invece espressione di peccato e la pedagogia è tutta impostata in forma ossessiva sulla purezza e sulla severità, mentre è più o meno indifferente, se non diffidente, dell’Amore.
Facciamo presente che Gesù nei vangeli non parla mai, neppure una volta, del sesso, né dà alcun comando, come già visto, sulla verginità.
Ancora agli inizi del XX secolo d.C. nei seminari vengono dati in lettura libri di ascetica con frasi come questa: “la donna è il demonio!”. Uno scrittore cristiano del Novecento racconta nelle sue ‘memorie’ che da giovane seminarista ciò gli suscita dubbi: “eh! – ragiona – la madre di Gesù è il diavolo? mia madre è il diavolo?”.

I capi clericali plagiano i seminaristi fin da ragazzi con la favola che loro sono ‘superiori’ ai laici, che il non sposarsi è uno stato ‘superiore’, che chi ne esce fuori va considerato peggio di Giuda e rischia fortemente la dannazione eterna, che la donna è solo tentazione e di bambini è meglio non sentirne neppure l’odore. È imposto un regime di segregazione, viene creato un ambiente artificiale, con regole formali che sovente in pratica sostituiscono il vangelo, è data una stretta formazione da ‘single’ gerarchico, tanto che a volte la persona è inconsciamente deformata psicologicamente e il cuore e l’animo sono resi sterili, producendo nel 54% dei casi vittime con frustrazioni nervose o partner occulto o aberrazioni.
Quanto ai laici, poiché oltre il 99,99% delle persone normali (non calcolando gli eunuchi e i malformati geneticamente) non riesce per ragioni naturali a stare in perpetuo nella continenza – il che in verità sarebbe andare contro natura – tutti diventano peccatori, per cui non resta per loro che sottomettersi ‘con serenità’ ai superiori: cosa possono pretendere dei peccatori! D’altronde è ‘buona cosa’ obbedire e fare penitenza o sacrifici per i peccati commessi (da chi, dai superiori al potere, oppure è un altro modo per soggiogare i cristiani? – ndr). In definitiva i laici sposati, la stragrande maggioranza dei fedeli, sono fatti diventare casta distinta, sottoposta, incapace, gente di serie C, che non conta, che non deve contare, neanche al giorno d’oggi.

Povertà – Dagli ‘atti degli apostoli’ risulta che fra i primi cristiani non vi sono poveri, poiché tra fratelli si condivide: quanti possiedono campi o case in sovrappiù liberamente li vendono e l’importo è distribuito, seguendo le decisioni della base, a chiunque è nel bisogno, affinché si attivi in un lavoro che gli dia un guadagno. Con le regole sostenute da Costantino viene tutto ribaltato: i monaci cattolici devono stare in povertà e i loro beni e ricavi vanno dati all’organizzazione gerarchica, che ne dispone a sua discrezione. È completamente l’opposto del messaggio portato da Gesù.
Così facendo le strutture superiori del clero, e non solo di quello monastico, accumulano col tempo ricchezze materiali. In seguito vasti possedimenti, abbandonati dai latifondisti per le pesanti tasse cui sono soggetti, vengono incamerati, oltre che dall’impero, anche dalla gerarchia ecclesiastica, dando una solida base al potere di questa. Arrivare alle più alte cariche, come ad esempio vescovo o più tardi cardinale, diventa pertanto un obiettivo ambito dai potenti o aspiranti tali. Quelle ricchezze fanno gola anche ai monarchi d’ogni secolo che, quando lo ritengono opportuno, trovano pretesti vari per impadronirsene, sia pure con la violenza.
Oltre a ciò dal VI secolo d.C. la gerarchia impone a tutti, sotto pena di scomunica, il pagamento della ‘decima’ a favore del clero, vale a dire un’imposta pari al 10% del reddito netto di ogni attività. In teoria i proventi andrebbero divisi in tre parti uguali: una per le strutture cattoliche, una per il sostentamento dei preti, una per i poveri. Ma col tempo quest’ultima parte in pratica sparisce, ai parroci si dà una quota ridotta, la cosiddetta congrua, e della decima benefica quasi esclusivamente la direzione gerarchica del clero.
Beneficenza, elemosina, atti circoscritti di carità diventano alibi per evitare o snobbare la giustizia sociale e la condivisione generalizzata dei beni. È lasciato intendere: “beati i poveri, perché è di essi il regno dei cieli” … nell’ aldilà. Ma il Nazareno sostiene fermamente che l’equità e l’uguaglianza vanno attuate adesso (“sorgete, voi poveri, …”), non sono solo una ricompensa dopo la morte.

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LE PERSECUZIONI CONTRO I CRISTIANI CONTINUANO

A chi si lamenta che la condizione monastica è troppo dura, il potere risponde che prima dell’editto di Milano i cristiani sono puniti con la morte, per cui di che si lamentano? Con l’aiuto del loro Dio possono accettare con serenità la nuova situazione, che fra l’altro è un’ottima forma di penitenza per i loro peccati! È come dire: nel passato sei costretto al supplizio capitale, ora, per la mia magnanimità, hai solamente l’ergastolo, che vuoi di meglio!
Fedele al motto di Roma ‘divide et impera’, Costantino I riduce la vita che scaturisce dal messaggio cristiano a una mera teologia – la nuova mitologia del potere – la quale non unisce, ma divide. Egli e i suoi successori, i veri fondatori del cattolicesimo, possono in tal modo uniformare tutti con l’obbedienza alle definizioni imposte e in caso contrario usano la violenza. L’imperatore Teodosio formalizza la nuova credenza qualche decennio dopo con un editto.
Da bravo pagano Costantino I cerca di mitizzare i ‘leader’ religiosi, in genere quelli morti, al fine di proporli come modelli astratti, dunque irraggiungibili, che in tal modo si possono venerare, più che imitare. In sostanza all’adorazione degli dei pagani e delle loro effigi è sostituita la venerazione di personaggi religiosi e delle loro immagini. Dal sommo imperatore, cui bisogna stare sottomessi e che deve essere adorato come dio, si passa al sommo pontefice e ai superiori clericali, cui bisogna stare sottomessi e che si devono ossequiare come ‘rappresentanti’ di dio.
Da notare che Gesù, al contrario, s’identifica negli inferiori: “qualunque cosa fate a (chi è ritenuto) un inferiore lo fate a me”, mentre definisce i ‘superiori’ come razza di vipere, generazione o casta perversa, attori recitanti. Altro che rappresentanti di Dio!
E i frutti dei ‘superiori’ dal IV secolo in poi si vedono anche nel cattolicesimo: persecuzioni, sottomissione, stragi, inquisizione, torture, roghi, incameramento dei beni delle vittime, norme contro il progresso democratico, il tutto spacciato per … cristianesimo.
Accertato l’influsso sulla psicologia dei soldati del simbolo del supplizio abominevole, riportato sui loro scudi, influsso che fa accrescere l’obbedienza ai capi, il grande Costantino ingiunge che i cattolici devono ora venerare l’effige della croce. Fa inoltre circolare la notizia che il legno della vera croce del Cristo è ritrovato in Palestina da sua madre Elena (dopo 300 anni, come c’è riuscita?!) e ordina che quel pezzo di legno sia adorato dai cattolici! È da notare che anche i barbari germanici del tempo adorano il legno di certi alberi – ormai non più – ma l’adorazione di quel pezzo di legno per i cattolici vige tuttora.

Tipica è l’insistenza con cui il pagano monarca vuole che il Maestro sia dichiarato di ‘natura divina’, cioè un Dio, sia perché ciò, per analogia, è più vicino alla dottrina teologica cui crede la maggioranza pagana sia perché le persone contrarie alla tesi imperiale possono essere più facilmente perseguibili per ateismo sia infine perché Gesù può così essere mitizzato. In tale modo tutta l’attenzione dei fedeli va pilotata verso il personaggio-mito, il quale più che un Dio diventa un idolo, mentre il suo messaggio sociale è posto di conseguenza in secondo piano per essere affievolito o dimenticato. Il sovrano vorrebbe arrivare a una triade (analoga alla divinità massima della mitologia pagana, composta di tre dei) di cui detta i nuovi nomi: Gesù, lo Spirito e il Padre eterno e onnipotente, tuttavia non riesce a darne una spiegazione plausibile.
È da notare che già nel III secolo d.C. alcuni pensatori cercano un compromesso fra la triade pagana e il Dio dei cristiani, ipotizzando che questi sia composto di tre protagonisti dei vangeli, ma tale tesi non ha seguito fra i credenti. Nel secolo successivo l’imperatore Costantino, che è anche il sommo pontefice del paganesimo, riprende siffatta teoria e la fa valere con tutta la forza del suo potere. Ciò anche per depistare i cristiani, i quali devono ora discutere sul numero dei componenti della loro divinità (1, 2 o 3?), mettendo in tal modo in secondo piano l’amore reciproco, l’innalzamento sociale degli esseri umani ‘ultimi’ e la democrazia diretta, tutti valori portati dal vero messaggio di Gesù, che provocano invece parecchia preoccupazione ai dominanti.
Circa l’80% dei fedeli e vari vescovi e teologi, anche della corte, sono di diversa opinione da quella di Costantino (Gesù nel vangelo non si dichiara mai, neanche una volta, Dio, mentre si dichiara ripetutamente figlio di uomo; anche per i primi cristiani della Palestina egli è il Maestro o tutt’al più, per alcuni, il messia biblico promesso). Vasto seguito hanno le idee di Ario, sacerdote di Alessandria, il quale tenta una conciliazione, affermando che Dio è ‘unico’ e pertanto Gesù non può essere anche lui di ‘natura divina’, tutt’al più di ‘adozione divina’. Pure gli ebioniti, i discendenti dei primi cristiani di Gerusalemme, sono contrari alla tesi imperiale. Ma il pagano imperatore non molla.

Nel 324 d.C. Costantino I, eliminato fisicamente il ‘collega’ Licinio, diventa padrone unico dei territori sia d’Occidente sia d’Oriente. L’anno seguente convoca e presiede lui di religione pagana una grande assemblea a Nicea, in Anatolia, di vescovi cattolici a lui più vicini: vi partecipano in 318 su 1800, pari al 18% del totale. È assente il sommo pontefice, il quale è filoariano, tuttavia da bravo cortigiano fa soltanto ciò che dice l’imperatore.
Costantino, “bello e leggiadro come un angelo” (secondo le cronache adulatrici della corte), entra nella sala della riunione e sedutosi su un trono d’oro massiccio subito impone ai vescovi di accogliere in tutti i domini di Roma, come posizione ufficiale, la ‘natura divina’ del Cristo e i tre componenti della triade. Gli ariani sono condannati severamente e Ario, invitato a Nicea solo per essere preso a scarpate dagli zelanti prelati filoimperiali, è costretto ad andare in esilio.

Il sovrano in seguito, troppi essendo i cristiani contrari alla sua teologia e molteplici le obiezioni (i cristiani delle origini credono in un solo Dio, il nostro Papà, il Padre nostro), ritiene opportuno cambiare opinione: richiama l’esiliato e nel 334 d.C. il sommo pontefice Silvestro, poi canonizzato santo, approva solennemente l’arianesimo quale religione ufficiale. L’anno successivo Silvestro muore, sempre nella versione ariana.
Dopo la scomparsa di Costantino I, il figlio Costanzo II governa l’Oriente e perseguita gli avversari di Ario e i pagani. Nel 340 d.C. suo fratello Costante fa ammazzare l’altro fratello, Costantino II, e diventa augusto d’Occidente, ordinando invece la persecuzione di ariani e donatisti. Nel 350 d.C. il generale Magnenzio, capo delle guardie imperiali, uccide Costante. Costanzo II a sua volta si libera di Magnenzio e diventa unico padrone dell’impero, facendo accogliere dalla gerarchia religiosa, come posizione ufficiale, l’arianesimo.
Col beneplacito dei sommi pontefici romani, parecchi missionari partono per l’Europa e l’Oriente, diffondendovi la versione ariana; in particolare le popolazioni germaniche convertite professano l’arianesimo per oltre due secoli.

Corre l’anno 366 d.C.: il clero elegge vescovo di Roma, e come tale è consacrato, Ursino, ovviamente ariano. Una settimana dopo è attuato un turpe ‘golpe’ dalla frazione del clero cattolico non ariano, poiché tale versione è più confacente alla strategia del dio potere: protetto infatti dall’imperatore Valentiniano I, ufficialmente neutrale, il diacono Damaso, fattosi consacrare lui vescovo di Roma da un altro prelato, organizza il massacro nella basilica di S. Maria Maggiore di Ursino e di tutti i 137 religiosi, colà radunati, elettori di Ursino. Questi, protetto dagli ecclesiastici a lui fedeli che gli fanno da scudo coi loro corpi immolandosi, riesce a fuggire.
E così Damaso, emerito assassino, si proclama proprio lui il successore degli apostoli di Gesù (?!) e dichiara che da adesso è Roma (e non più Gerusalemme) la ‘nuova sede degli apostoli’, di cui lui si nomina capo. Probabilmente le ossa degli apostoli si rivoltano ancora nelle tombe. La falsa successione del sommo sacerdote è fatta credere valida sino ai nostri giorni: per il potere sono sacre le proprie cariche, non interessa la verità o la rettitudine della persona.
L’imperatore Teodosio, dopo una sorta di abusi per privilegiare il sommo pontefice Damaso e le alte sfere del clero, con l’editto del 380 d.C., dichiara religione di Stato la neo confessione iniziata dal collega Costantino, nella versione trinitaria non ariana (che favorisce mirabilmente la distinzione delle caste sociali), cui dà ufficialmente e definitivamente il nome di cattolicesimo.
Detta confessione in effetti non è altro che la religione di Stato pagana, corretta e ristrutturata, riproposta con una verniciatura di ALCUNE PARTI DEL VANGELO. Si passa dal Dio, il nostro Papà, del Maestro Gesù, a un Gesù-dio-del-potere, un Dio-ideologia, immaginato da Costantino, il cui ‘rappresentante’ in terra, imposto dal monarca, non è altro che un suo ricco cortigiano totalmente dipendente da costui. Si passa dal Dio dell’amore reciproco alle definizioni teoriche e astratte di Dio, cui bisogna assolutamente credere, pena la morte. Si passa dalla vita della ’ekklêsia’ all’obbedienza al potere gerarchico (e questo è, e porta, un devastante arresto del progresso dell’umanità – ndr).
Come si vede è l’imperatore che decide quale deve essere la teologia (o mitologia) della religione statale.

Il potere, volendo unificare le religioni dell’impero, deve giustificare fin dai tempi di Costantino I, presso la maggioranza di derivazione pagana, la sostituzione della loro somma divinità celeste, la triade, composta di tre dei distinti, con una divinità unica: per la soluzione definitiva occorrono alcuni decenni, finché Agostino, dopo una lunga pensata, definisce una somma divinità celeste onnipotente, la Trinità, costituita da tre persone divine distinte, invece che da tre dei distinti (tali teorie in realtà non sono conosciute dal cristianesimo dei primi due secoli). In effetti viene ‘creato’ da Costantino e da Agostino un Dio, cui essi danno il nome Gesù, il quale ha poco a che fare col vero Gesù di Nazareth. Questa dottrina infatti permette praticamente al potere la distinzione in classi, in caste, e pertanto la loro discriminazione, come difatti è operato per secoli, e come la permette d’altronde la citata triade pagana o l’egiziana triade dei faraoni o la trimurti induista. Nel campo sociale l’unità di uguali liberi nella diversità, essenza dei cristiani, è in tal modo tolta di mezzo e sostituita, dai seguaci di Costantino, con la pagana uniformità di sottomessi ai superiori nella distinzione.
Il tutto rende mitizzato anche l’amore scambievole, che è dirottato con aspetti alquanto suggestivi da Agostino – il teologo del potere imperiale, abilissimo e accattivante scrittore – presso la divinità ‘celeste’, sopra le nuvole, e pertanto nella vita concreta completamente dimenticato per oltre 1500 anni dalla gerarchia ufficiale.

Enormi sono le proteste dei cristiani, che cercano la vita delle origini e giustamente NON la riconoscono nei dettami dell’imperatore, tanto che i capi politico-religiosi ‘si sentono costretti’ ad adottare la violenza contro chi non è d’accordo sulla svolta da essi imposta: l’imperatore Teodosio, con la piena approvazione del sommo pontefice Damaso e dei superiori clericali Agostino, Ambrogio e Gerolamo, tutti e quattro poi solennemente canonizzati santi, ORDINA IN FORMA PERMANENTE IL ROGO PER TUTTI I CRISTIANI (solo per i cristiani) che non si adeguano alla nuova teologia dei dominatori. È la più nefanda tra le negazioni dei diritti umani e tra le violazioni del messaggio cristiano.
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NOTA: – Riguardo al potere Agostino dichiara che bisogna obbedire sia ai capi religiosi sia a sovrani e padroni, anche se questi sono ingiusti o colpevoli dei peggiori delitti, giacché la validità delle loro azioni non dipende dalla loro dirittura morale, bensì discende da Dio stesso, il quale utilizza costoro solamente come strumenti. Tale dottrina è il contrario di quanto dichiara Gesù: “i capi delle nazioni, lo sapete, decidono su di esse e i potenti esercitano su di esse il loro dominio, tra voi questi NON ci devono essere” e di conseguenza “ogni cosa che la comunità riunita insieme approva o respinge sulla terra è approvata o respinta anche in cielo”.
D’altronde, teorizza Agostino, gli esseri umani sono tutti peccatori ed è per colpa dei loro peccati se in questo mondo ci sono tante sofferenze e ingiustizie (non per colpa dei capi che comandano?!). Ed è per colpa dei peccati della gente che Gesù è morto sulla croce (non per colpa del potere?!). Pertanto è bene che gli esseri umani si rassegnino, anzi è doveroso che facciano molte penitenze e sacrifici per meritare nell’altra vita la salvezza eterna, l’unica cosa che davvero vale!
È ancora Agostino, osannato dal potere, l’inventore e sostenitore della tremenda pena di morte mediante rogo cattolico. Egli è anche il novello teorizzatore della guerra che diventa ‘santa’ se scatenata dai capi cattolici. Tutto ciò cagiona gravissime conseguenze per vari secoli sull’involuzione registrata dell’umanità. Aggiungiamo che le donne, secondo la sua teoria, sono esseri inferiori agli uomini, cui esse devono restare sottomesse per volontà divina: anche questo nei secoli futuri comporta pesanti ripercussioni sugli esseri umani di sesso femminile. Agostino accoglie tra l’altro l’antica credenza che la trasmissione della vita ai figli è opera unicamente del maschio, essendo la donna nient’altro che un recipiente.

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È un’altra prova che il messaggio originale di Gesù ha poco a che fare col cattolicesimo, che è più esatto chiamarlo costantinesimo, dal nome dell’imperatore suo ideatore e fondatore, oppure agostinesimo, dal nome del suo teorizzatore. E così i cristiani, se non fanno atto di venerazione al potere o di accettazione della recente confessione religiosa o se chiedono il riferimento al vangelo per le attuazioni o se vogliono l’’ekklêsia’, sono perseguitati e condannati a morte dai grandi sacerdoti (ora definitisi cattolici): sono i nuovi martiri, un tempo marchiati col nome di ‘empi’ o ‘atei’, adesso marchiati col nome di ‘eretici’. È anche la Libertà di parola e di vita che qualunque potere cerca sempre di soffocare.
Tale dottrina di morte entra immediatamente in vigore: i primi cristiani a salire sulla catasta di legna per essere arrostiti vivi su ordine della casta della gerarchia cattolica sono sei spagnoli col loro presbitero. Tale mostruosità omicida perdura ininterrottamente lungo il corso di 1400 anni (sì, state leggendo bene: millequattrocento anni) di crimini contro l’umanità e i beni dei cristiani incarcerati o uccisi sono incamerati immediatamente dall’alta gerarchia cattolica. Perfino i discendenti dei primi cristiani di Gerusalemme, gli ebioniti, sono tutti sterminati quali eretici!
I successori del sommo pontefice Nerone continuano in tal guisa ad accendere scrupolosamente gli orrendi, disumani roghi da quello iniziati, adesso in forma permanente, e stavolta c’è di nuovo che i carnefici si autoproclamano ipocritamente rappresentanti … del Dio di Gesù!!! La neo cultura pagano-cattolica della morte chiama ‘atti di carità’ le condanne al supplizio dei cristiani (di questa ‘carità’ dell’alta gerarchia cattolica nei secoli sono piene le fosse). Al contrario lo stesso Gesù dichiara: “non vengo per condannare il mondo, ma per salvarlo, per renderlo libero”.

Mentre il messaggio di Gesù vivifica la vita normale con l’amore, Agostino afferma “ama e fa quello che vuoi”. Cioè puoi anche torturare e bruciare vivi gli esseri umani, purché tu lo faccia con serenità, senza odio, amando la vittima. È l’aberrazione che si aggiunge all’aberrazione.
La ‘soluzione finale’ per i cristiani è al suo ultimo atto. L’inganno bugiardo è compiuto. Eliminati i discendenti gerosolimitani, minacciate e perseguitate le comunità più vive, condannati alla pena capitale gli obiettori, annientata e affossata l’autorità dell’intera comunità unita (l’ekklêsia, la democrazia diretta svelata da Gesù) mediante la sua sostituzione con una casta clericale creata da Costantino, il dominio cattolico impone la neo religione a tutti, cristiani e non, spacciando per cristianesimo le strutture gerarchiche, puntuale contrario di quelle portate dall’annuncio sociale di Gesù, e una teologia del potere, che sostituisce in effetti il vangelo.
Cosicché la lettura del vangelo viene severamente proibita a tutti i laici, come la sua traduzione nelle lingue locali, affinché la verità essenziale della ‘buona novella’ non sia recepita dalla massa. Il vivere il vangelo, nella pratica, è sostituito da regole e precetti (dettati da persone del clero, ma da osservare come espressione della volontà di dio), da molteplici riti formali, da lunghe preghiere, da devozioni a immagini, da sottomissione serena ai ‘superiori’, mentre il grande messaggio sociale viene ridotto per la gente comune a fare elemosine ai poveri, offerte al clero (alto) e qualche buona azione verso il prossimo.

La casta clericale vieta a tutti i cristiani laici perfino di ‘spezzare il pane’ nelle loro case al momento della cena, laddove espressamente il vangelo e Paolo chiedono a tutti di farlo, uniti nell’amore fraterno scambievole che porta la gioia. Tale divieto persiste tuttora.

I sommi sacerdoti cattolici autodichiarano di essere loro seduti dalla parte dei sapienti, di essere solo loro i veri rappresentanti e interpreti del messaggio del Maestro, per cui agli altri esseri umani non resta che sedersi dalla parte degli inetti con ’serenità’, pena il rogo. In pratica significa che è consolidata la forza istituzionale della ricchissima alta gerarchia clericale, espressione dell’imperatore, e di conseguenza la sottomissione e l’emarginazione della stragrande moltitudine della popolazione laica.
Conferma Ilario di Poitiers (315 – 367 d.C.) che esiste un potere più insidioso delle persecuzioni, ed è il potere che arricchisce l’alta gerarchia, che non colpisce il corpo con la spada, ma uccide l’anima col denaro. Dopo Costantino d’altronde chi offre una molto grossa somma di denaro all’alta gerarchia può più facilmente diventare vescovo, per cui col passare del tempo solo i nobili, salvo qualche eccezione, se lo possono permettere (e magari arricchirsi maggiormente).

Da quello stesso 380 d.C. in poi tragica sorte tocca pure agli ebrei, accusati dai capi dell’Urbe di essere i colpevoli dell’uccisione di Gesù – Agostino li definisce tutti ‘perfidi deicidi’ – quando sappiamo che a volerla non è il popolo, bensì l’alta gerarchia religiosa giudaica e i suoi collaboratori, in combutta col potere romano. L’evangelista Luca conferma in proposito: “i sommi sacerdoti e i nostri capi lo consegnano per farlo condannare a morte e poi lo crocifiggono”.
Il popolo ebreo è fuori causa, ma deve ugualmente subire la confisca di beni, il divieto di leggere la toràh (come i cristiani subiscono il divieto di leggere il vangelo), la distruzione di sinagoghe, stragi, roghi, la perdita di diritti e, in seguito, l’obbligo di essere rinchiuso negli invivibili ghetti.
All’inizio le persecuzioni contro gli ebrei sono altresì utilizzate come depistaggio per scagionare l’impero dall’identica accusa di “deicidio”. A questo proposito sono redatti falsi documenti per discolpare il potere romano e l’imperatore. Ad esempio si cerca di attenuare la responsabilità di Pilato, scrivendo sue biografie in cui il prefetto si pente tantissimo di quello che ha fatto e passa la rimanenza della sua vita nella penitenza e a fare del bene (tanto che potrebbe essere dichiarato santo). Oppure in altre biografie Pilato, sotto il peso continuo del rimorso, fa ‘na vita d’inferno e una morte orrenda come punizione del suo reato. Per tutti i gusti!

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OSSERVAZIONI SUI DEPISTAGGI.

Ricordiamo, riepilogando brani già scritti in capitoli precedenti, che tutti i Vangeli originali sono distrutti dal IV° secolo. I 4 canonici che oggi abbiamo sono copie fatte scrivere dai teologi della corte imperiale di Roma, dove sono inserite delle glosse interlineari per giustificare, tra l’altro, l’operato del prefetto romano Pilato. Da qui risulta che una grossa fetta di colpa dell’uccisione di Gesù ricade sul popolo ebreo e non sull’impero di Roma, perché quando Pilato, per dubbi di coscienza, chiede alla folla quale prigioniero liberare per la Pasqua, Gesù o Barabba, il popolo sceglie Barabba. Ma in realtà non è andata così.
Per prima cosa non c’è, né ora né allora, alcuna usanza ebraica di liberare un prigioniero per la Pasqua.
Secondo: anche se Pilato chiede alla folla dei giudei chi liberare, cosa del tutto impensabile dato lo strapotere assoluto romano nei confronti delle popolazioni sottoposte (Pilato se vuol liberare Gesù può benissimo farlo senza ascoltare chicchessia), lo chiede alla folla che è nello spiazzo davanti al tribunale, contenente circa 200 persone, e dove i sommi sacerdoti fanno accorrere le guardie del tempio e tutti i loro dipendenti, occupando in tal modo quasi completamente il cortile, per sobillare e gridare a squarciagola ininterrottamente che sia libero Barabba e crocifisso Gesù. Non c’entra per niente pertanto il popolo ebraico, ma solo un piccolo gruppo di dipendenti dell’alto clero locale. E la colpa non può essere attribuita, come alcuni affermano, neppure alla democrazia diretta, giacché questa richiede il libero voto di TUTTA la popolazione del territorio (in questo caso di Gerusalemme) e non la partecipazione di, più o meno, 200 persone condizionate.
Terzo: che Pilato abbia problemi di coscienza, come riportano le copie dei vangeli canonici, non è confermato dagli storici, i quali lo descrivono un capo brutale che uccide senza alcun rispetto della legge o scrupolo religioso (vedere in proposito al capitolo “l’assassinio di Gesù” quanto scrivono il filosofo Filone di Alessandria e lo storico Giuseppe Flavio).
Per inciso annotiamo inoltre che per vari studiosi laici anche i passi del nuovo testamento, in cui si parla del risuscitamento di Gesù, sono glosse inserite per avvalorare la tesi dell’imperatore Costantino, sommo pontefice della religione pagana, il quale vuole che sia deificato Gesù, come si usa fare a quei tempi coi personaggi ritenuti molto importanti. In tal modo si sviluppa il culto dell’adorazione del Dio-Gesù e della venerazione dei capi e delle statue, laddove si pone sempre più nell’oblio l’amore scambievole che unisce e la democrazia diretta comunitaria, realizzazioni del suo messaggio, mentre l’innalzamento degli ultimi è ridotto al fare l’elemosina ai poveri (chi la fa guadagna meriti per la propria anima) e/o, migliorando, a fare opere di bene.
Analogamente sono introdotte delle glosse che prospettano la verginità (valore molto apprezzato del pezzetto di pelle nella religione pagana) di Maria e la sua venerazione, per dimenticare del tutto le concretizzazioni rivoluzionarie della vita che scaturisce dal suo “magnificat”.

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Alcuni anni dopo, nel 392 d.C., è abolita la vecchia religione dei pagani e anche contro questi nostalgici si adottano sanguinarie misure repressive. Il paganesimo camuffato di fresco, il neopaganesimo, può così colpevolizzare, senza tema, il paganesimo precedente delle persecuzioni subite dai cristiani … nei secoli passati.

Il dramma non sta nell’evoluzione della teologia o nelle idee negative di liberi pensatori riguardanti il cristianesimo o altri valori, quanto nel far proprio del potere di pochi i messaggi pervenuti, sovente costruendovi una religione o ideologia di Stato, trasformandoli in strumento di dominio e d’impedimento alla consapevolezza di sé della massa, imponendo e spacciando tali deformazioni come il vero annuncio (è il peccato “contro lo Spirito” di cui parla Gesù).

Sono vietati tutti gli scritti non cattolici, in particolare quelli che trattano di scienza e di altre culture, considerate materie pagane, pertanto diaboliche. Sono distrutti i templi e le costruzioni pagane, espressioni di una falsa religione, e le sinagoghe dei ‘perfidi’ ebrei. Unica verità diventa la teologia cattolica, non sono ammesse altre idee, né la ricerca scientifica, né la lettura dei vangeli autentici né dei testi di altre religioni, ecc. e viene esercitata la violenza (anche col rogo) contro chi ha opinioni o fa scelte non conformistiche oppure effettua ricerche scientifiche. Questa mentalità dogmatica integralista è quella propria dei ‘talebani’ di qualche anno fa.
L’insensata intolleranza dei gerarchi cattolici verso i ‘diversi’ – la quale fa perdere capacità umane preziose – e verso il sapere umano, unitamente all’avida corruzione del potere politico-amministrativo, portano in pochi decenni al totale decadimento di Roma e a mille anni di oscurantismo socio-culturale con conseguente arresto del progresso.
I capi sanno bene che per dare addosso ai ‘diversi’ bisogna etichettarli ‘canaglie, esseri del male’. Vescovi e dirigenti cattolici fra i più zelanti nelle persecuzioni di ebrei, etichettati ‘deicidi, esseri perfidi’, di cristiani, etichettati ‘eretici, esseri del demonio’, di pagani e di scienziati, vengono dichiarati santi, presi a modello della ‘vera’ fede.

A titolo esemplificativo riportiamo qui l’episodio di Ipàzia (375-415 d.C.), scienziata, donna assai bella, studiosa di matematica, astronomia e filosofia – inventrice fra l’altro dell’astrolabio – la quale insegna ad Alessandria d’Egitto. Ivi il patriarca cattolico Cirillo istiga i fedeli contro gli ebrei, che vengono di conseguenza vessati in modo infamante e alla fine sono cacciati via a furore di folla integralista dalla città. Tali fatti generano la disapprovazione del prefetto d’Egitto, appoggiato per ragioni umanitarie da Ipazia. Ne nasce un forte dissidio e Cirillo, ritenendo che Ipazia, di religione pagana, eserciti sul funzionario statale un’influenza determinante, predica (in base alla teologia ‘talebana’ di Agostino) che le donne sono esseri inferiori, che pertanto devono stare riservate e sottomesse, non possono istruirsi o parlare in pubblico, né tantomeno insegnare. Affida quindi a un suo collaboratore, in forma non ufficiale, la ‘missione’ di far fuori la scienziata: l’incaricato organizza e capeggia un folto gruppo di dipendenti fanatici integralisti, che assale per strada Ipazia, la trascina, fra percosse e insulti, dentro un tempio cattolico e qui ‘per la gloria di dio’ la massacra, cavandole gli occhi e squartandola in tanti pezzi. Tutti i resti del ‘malefico’ corpo sono poi portati in una discarica e bruciati: siamo nel 415 d.C. Al contrario, Cirillo è dal sommo pontefice cattolico canonizzato ‘santo’ – lo ricordano i calendari di uso comune – quale strenuo difensore della fede (nell’integralismo chiuso e crudele dei capi? – ndr). Cirillo manda al rogo anche molti cristiani che non si adeguano alla nuova teologia degli oppressori e fa poi distruggere tutti gli oltre 500.000 papiri della celeberrima biblioteca d’Alessandria, costituenti la somma della cultura e della scienza del tempo, che in tal modo sono perduti per sempre.

I capi ora hanno a propria disposizione uno strumento di potere e d’imbroglio più efficace, poiché fanno ritenere alla massa che la nuova religione di Stato è la vera e unica espressione del messaggio del … buon Gesù.
Così dal IV sino al XVIII secolo centinaia di migliaia o milioni di cristiani di qualunque confessione in tutto il mondo, o comunque esseri umani, sono processati sotto spietate torture e bruciati vivi, decapitati, impalati, impiccati, garrottati oppure, se abiurano, sono condannati al carcere perpetuo a marcire in fradici sotterranei, essendo dichiarati non conformi alla dottrina religiosa del potere. I loro beni li incamera subito l’alto clero prima del processo.
Si fa presente che sono canonizzati ‘santi’ dal cattolicesimo, tra gli altri, e come tali venerati anche oggidì, molti giudici della ‘santa’ inquisizione che sottopongono a quei feroci supplizi migliaia e migliaia di cristiani per trasformarli poi in torce umane. Chi ha orecchi per intendere intenda, avverte il Nazareno.
Lo scopo principale di tanta continua violenza, risulta da ordini scritti dell’alta gerarchia, è quello di terrorizzare il popolo per tenerlo sottomesso (al dominio di pochi).
Famigerate sono inoltre le carneficine di popolazioni greco-ortodosse, ebree e mussulmane compiute dai crociati. Famigerate sono le crudeli spedizioni punitive ordinate dalla gerarchia contro i lavoratori che richiedono, a volte appoggiati da monaci, condizioni di vita più umane: ai lavoratori che protestano tagliano piedi e mani, poi li rimandano a casa.

Dal 1184, per ordine del sommo pontefice Lucio III, i ‘tribunali speciali’ dell’inquisizione diventano obbligatori in ogni diocesi del mondo.
Va ricordato che gli imperatori romani scatenano, lungo il corso di 300 anni, 11 persecuzioni contro quei cristiani che non fanno atto di venerazione al sommo capo. Ora, in tutti i territori dove vige la confessione cattolica romana, la persecuzione scatenata contro i cristiani è permanente: quelli che non fanno atto di venerazione e assoggettamento al sommo capo sono condannati.
E non finisce qui: nel 1244 il sommo pontefice Innocenzo IV comanda di bruciare vive tutte le donne di qualsiasi età ritenute ‘streghe’. Per essere reputata strega si potrebbe pensare a chissà quali delitti, NO: è sufficiente che la donna senta stanchezza alle gambe oppure avverta un dolore non localizzato o sudi senza una spiegazione plausibile o sia sterile o abbia tre nei sulla pelle, ecc. Da allora e per ben 540 anni, milioni di donne, legate con pesanti catene o chiuse in gabbie affinché non volino via, sono portate al rogo, talvolta impiccate o squartate, e i loro beni li incamera immediatamente l’alto clero prima del processo.

È da tener presente che agli inizi del Duecento le donne prendono maggiore coscienza di sé. Ad esempio con Valdo girano nei villaggi aiutando i poveri e predicando il vangelo, ma ciò dai sommi sacerdoti cattolici è considerato andare contro la ‘volontà espressa da dio’. Se sono contro la volontà di dio, vuol dire che quelle donne sono del demonio, quindi è cosa santa ucciderle col fuoco. Di lì a poco Chiara d’Assisi e le sue compagne vogliono seguire le orme di Francesco: non sia mai! Le donne che vanno in giro ad aiutare i poveri e a parlare del vangelo sono contro la volontà espressa da dio! Quindi è cosa santa dare loro un pagano ergastolo, a mo’ delle vestali, chiuse dentro un convento in stretta clausura per tutta la vita! Le donne stanno ormai alzando troppo la testa, occorre tarpare loro le ali, bisogna prevenire simili manifestazioni diaboliche! Cosicché l’alta gerarchia cattolica esuma la superstizione pagana della strega: la prima bruciata viva è nel 1244 a Tolosa

I creatori di ‘mostri’ inesistenti infieriscono anche sui bambini: i figli delle streghe o comunque i neonati, che la gerarchia clericale ritiene generati dal demonio oppure da questo sostituiti con esseri dalle sembianze umane, sono a migliaia condannati a morte! Le esecuzioni avvengono mediante affogamento nell’acqua: “qualunque cosa fate a uno di questi piccoli lo fate a me” (già dapprima, per di più, a milioni di bambini è negata la vita potenziale a causa del divieto di matrimonio per il clero). Sono tutti raffinati sacrifici umani dei figli, offerti al dio del potere e ordinati dal dio del potere.
Ma tutto ciò non basta: nel 1254 lo stesso Innocenzo IV emana una bolla in cui chiede ai magistrati civili di far torturare tutti i cristiani imputati di eresia allo scopo di estorcerne la confessione. L’influenza ‘morale’ del papato romano contribuisce in maniera determinante alla diffusione della tortura nell’intera Europa; soltanto la Svezia non accoglie l’invito. L’Inghilterra l’accetta per i motivi politici, non per quelli religiosi.
È risaputo delle crudeltà commesse e affinate nei secoli dall’inquisizione, anche attraverso il braccio secolare: i fedeli però devono assolutamente credere che quelle sono attività sante e che bisogna stare sottomessi alle dottrine omicide imposte, le quali si badi bene, non difendono il cristianesimo, ma difendono il dio del potere, che è l’anticristo.

Nel 1452, prima ancora della scoperta dell’America, il sommo pontefice Niccolò V appoggia la tratta degli schiavi con la sua richiesta alle potenze europee di ridurre in schiavitù tutti gli africani di fede mussulmana.
Con una bolla del 1484 il sommo pontefice Innocenzo VIII non solo giustifica il rogo per le ‘streghe’, assimilate agli eretici, agli omosessuali e ai gatti neri, ma dà inizio contro le donne a una più capillare persecuzione: l’aberrante caccia alle streghe, cui deve partecipare tutta la gente. È sufficiente il solo sospetto di qualcuno su una donna perché questa subisca sia un processo farsa, dove le è vietato avere un difensore, sia disumane torture per parecchi giorni, ovviamente per il suo bene secondo la gerarchia: slogatura dei polsi, strappo delle venti unghie e dei capezzoli, bruciatura dei piedi, sollevamento in aria con corde legate ai polsi dietro la schiena, frattura progressiva e razionale delle ossa, ferri arroventati conficcati in varie parti del corpo.
Eseguendo gli ordini dei sommi pontefici, i frati aguzzini, in genere domenicani o francescani (le ossa di Francesco ancora si rivoltano nella tomba!), tanto più infieriscono sull’imputata, come sugli eretici e sugli omosessuali, quanto più acquistano meriti spirituali per l’aldilà; l’abilità tecnica invece sta nel far soffrire al massimo la vittima senza farla morire.
Sia confessi di avere rapporti col diavolo sia non lo confessi, sia che si penta sia che non si penta, la malcapitata, anche se è una bambina, dopo la tortura deve subire la condanna capitale. Solo per coloro che abiurano la pena può essere commutata in ergastolo.
Dato il grande numero di donne condannate a morte, adesso svariate volte le esecuzioni sono di massa. Le infami torture e le macabre uccisioni sono ordinate e volute dal potere gerarchico sempre in nome del proprio dio, falsamente identificato col Dio di Gesù.
Come esempio dell’aberrazione cui arriva l’ignoranza propinata per volontà divina ricordiamo che i ‘saggi’ del clero cattolico e poi anche quelli protestanti ritengono che se una persona ha improvvisamente delle convulsioni con emissione di bava (oggi si dice attacco epilettico) significa che qualcuna delle donne o bambine lì presenti è in realtà una strega, che col suo influsso malefico provoca quei disturbi. Sappiamo quale fine fa la sospettata, anche se bambina!

A dimostrazione della differenza abissale che c’è fra il cristianesimo e la componente pagano-imperiale del cattolicesimo, riportiamo alcune frasi operative del cosiddetto ‘libro nero’, una delle guide dell’inquisizione per indagare i cristiani, scritto alla fine del Quattrocento e molto utilizzato, con il sostegno dei sommi pontefici, anche nei secoli successivi: “noi pensiamo che la tortura fisica si è dimostrata il mezzo più efficiente e salutare per condurre al pentimento spirituale“; “se una persona confessa, essa è colpevole per sua confessione”; “se nonostante tutti i mezzi impiegati lo sventurato accusato continua a negare la sua colpa, egli deve essere considerato vittima del diavolo e quindi non merita compassione dai servi di dio, lasciamolo morire fra i dannati”; “un figlio deve accusare i genitori (di sospetta eresia – ndr), una madre deve accusare i figli, il non farlo costituisce un peccato contro la santa inquisizione e merita la scomunica e l’inferno; “chiunque non sia d’accordo con il papato è senza dubbio un eretico”; “chiunque prenda alla lettera le parole di Gesù e limita le sue risposte a sì o no è un eretico (cioè un cristiano – ndr) e merita la morte”.
Da notare che i testi sulla tortura redatti dall’inquisizione sono usati nel secolo XX dalle SS naziste come modello cui ispirarsi per i loro supplizi.

Arriviamo al 1520. Il sommo pontefice Leone X condanna solennemente, perché contraria alla verità cattolica, la frase di Lutero: “bruciare gli eretici è contro la volontà dello Spirito”. Ciò vuol dire, secondo la verità gerarchica, che lo Spirito Santo gradisce l’arrosto di eretici?! Sì, sì, e lo preferisce con contorno di finocchi. Che buongustaio! Che professionalità! Hitler al confronto sembra un imitatore dilettante. Il dio di costoro richiede sacrifici umani, come il dio dei maya o come il moloch dei cartaginesi.
Sono altresì note le stragi efferate subite da tutti gli indios cristiani del continente americano perché, se seguono le proprie usanze, sono dalla gerarchia cattolica ritenuti superstiziosi, dunque eretici: tra massacri del potere politico e roghi di quello clericale si calcolano 25 milioni di vittime.
Al Dio della Vita si contrappongono i princìpi, o i prìncipi, della morte! Ben profetizza Gesù: “i falsi profeti arrivano a uccidere nel nome di Dio, guardatevi da costoro!” … “i falsi profeti li riconoscete dai loro frutti”.
Al giorno d’oggi le sue parole si possono esprimere così: “i falsi profeti uccidono in nome dell’Idea, sia essa religiosa, sociale, politica, partitica, economica, culturale”. È pertanto facile riconoscerli.

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Nel 1555 il sommo pontefice Paolo IV fa costruire a Roma, a guisa di quelli già esistenti in alcune città europee, un maleodorante ghetto per gli ebrei, stipandoli entro alte mura e gravandoli di pesanti tributi e umilianti limitazioni giuridiche e lavorative e col divieto di avere in casa gabinetti e acqua corrente. Essi devono portare sempre un contrassegno giallo cucito sugli abiti (vi ricorda qualcosa? – ndr).
Si accentua nel Cinquecento, e ancor più nel Seicento, la posizione dell’alta gerarchia, sempre composta, con tutti i privilegi connessi, da una casta di nobili (anche oggidì in Vaticano i sommi pontefici e i cardinali hanno tutti dei titoli nobiliari, re i primi e principi i secondi – ndr), che vuole per sé sempre maggiore sfarzo e ostentazione di ricchezza, quale segno della benedizione e del favore di dio verso di essa, mentre fa credere che la colpa dell’indigenza in cui si trova la maggioranza del popolo è degli stessi poveri, a causa dei loro peccati: dio ‘giustamente’ li fa stare in quella condizione per penitenza!
I laici che non vogliono o non sopportano tale stato di cose e quei frati che scoprono nel vangelo (la sua lettura è vietata ai laici, ribadito dal decreto del 1564 sui libri proibiti, perché restino nell’ignoranza di esso) che l’insegnamento di Gesù è l’esatto contrario di quanto sopra, devono subire le torture e i roghi dell’inquisizione, la quale nel suddetto periodo accentua la sua orrida attività. La paura rende innocua la gente e al tempo stesso ne imbecillisce la mentalità. È la politica delle ‘i’ (rendere innocue le persone, tenendole nella ignoranza, nell’indigenza, nell’isolamento, nell’immobilismo sociale, nell’indebolimento psichico prodotto dalla paura logorante, fisica o spirituale) che i poteri forti, politico, economico, religioso, militare, ecc. perseguono.

La rivoluzione francese rivendica i diritti degli esseri umani e vieta le esecuzioni criminali promosse dall’inquisizione: in contrapposizione il sommo pontefice Pio VI divulga una delle peggiori affermazioni sociali, stabilendo in una bolla del 1791 che per ordine espresso di dio gli uomini non sono né uguali né liberi, pertanto devono stare sottoposti a ‘superiori’ e sovrani.
In seguito, col suo ‘sillàbo’, documento del 1864, il sommo pontefice Pio IX condanna solennemente la libertà di stampa e di opinione, il liberalismo e chiunque affermi che gli operai hanno diritto a un giusto salario!
Anni prima lo stesso Pio IX appoggia più o meno velatamente la guerra del Sonderbund in Svizzera (1847), che i cantoni cattolici scatenano contro quelli protestanti, giacché questi ultimi vogliono una costituzione più democratica e federale, con meno privilegi per la casta del clero.
A scanso di equivoci, nel 1870 il concilio Vaticano I conclude: “se qualcuno dice che il pontefice romano ha solo un compito di vigilanza o di direzione e non invece un pieno e supremo potere … scomunicato sia” (Gesù dice che “i superiori esercitano sulle nazioni il potere, questi non devono esserci tra voi”. Pertanto nel 1870 il Nazareno è … scomunicato dalla gerarchia?? – ndr).
Il lungo fiume di lacrime e sangue generato dai tribunali speciali – creati e presieduti dall’alto clero – cessa mesi dopo, sotto l’aspetto cruento, con l’occupazione di Roma da parte delle truppe italiane. Queste chiudono pure il ributtante ghetto della ‘città eterna’, l’unico ancora esistente al mondo.

Perduto lo Stato pontificio, la gerarchia lo sostituisce con il culto della persona del sommo pontefice, di costantiniana memoria, a mo’ degli imperatori romani (‘lo Stato sono io’ del re qui diventa in effetti ‘la Chiesa sono io’ del sommo sacerdote).
E il tutto raggiunge il suo top nel 1907 allorché il regnante sommo sacerdote Pio X in forma solenne condanna ogni accettazione del modernismo e ogni tipo di democrazia sia nel campo civile sia all’interno dell’organizzazione ecclesiastica. È questa una riprova della lontananza del cattolicesimo dal messaggio sociale originale del cristianesimo e una conferma che la gerarchia cattolica, istituita da Costantino, è nata per fare le scarpe, sopraffacendola, alla democrazia iniziata da Gesù e dai cristiani dei primi tre secoli. Di conseguenza il Vaticano dà nei decenni successivi appoggio, più o meno direttamente e concordemente, ai partiti totalitari di tipo fascista in Europa e in America, responsabili di conseguenze nefaste e di rovine prodotte da dispotismi e guerre.

Ma anche ai giorni nostri il catechismo romano (1992 d.C.) contiene una pagina agghiacciante a giustificazione della pena di morte per i casi più gravi. Questo significa dimenticare il senso e il valore della buona novella: Gesù difatti è consegnato ai carnefici perché ritenuto dal potere un caso estremamente grave, quindi per costui è assolutamente necessaria la condanna a morte!
La pena capitale è inserita nel nuovo catechismo perché il pontificato cattolico fa uso di essa per secoli, per cui non si può abolire tutto a un tratto: sono concetti espressi in tv dall’allora cardinale Joseph Ratzinger.
Lo stesso catechismo ammette certe guerre chiamandole giuste, essendo ormai desueto chiamarle ‘sante’ (anche le oil wars e assimilate sono legittimate in questo modo da chi è interessato, ma forse sarebbe meglio definirle … missioni di pace).
D’altronde questi due strumenti, pena di morte e guerra ‘giusta’, sono in linea con le recenti dottrine di potere dei neocon.

IL SOFFOCAMENTO DEI VALORI SOCIALI

È da mettere in rilievo che le gerarchie centralizzatrici, in generale, si proclamano rappresentanti o paladini di valori che dapprima combattono e poi, se non riescono a debellarli, simulano di trasferirli nelle proprie strutture, dando a queste il nome di quei valori: in tal modo i valori diventano spesso dei formali paraventi, degli specchietti per le allodole, al fine di coprire l’azione logorante del potere. Rientra sotto tale aspetto, a volte, l’acculturazione.
Per i sommi pontefici, successori tutti di Costantino I ed eredi della religione di Stato di Roma, la guerra se promossa da loro viene chiamata ‘santa’, i massacri di popolazioni inermi da loro perpetrati diventano ‘mirabili castighi di dio’ (esistono anche monete papali con tali scritte), il torturare e uccidere i cristiani su richiesta dell’inquisizione è compiere ‘atti di carità’, il negare il diritto alla vita ai propri figli per divieto di matrimonio è gabellato per ‘consacrazione’ (o per condizione ‘sine qua non’), il giuramento, condannato da Gesù, cambia nome ed è ‘voto’ o ‘promessa’, la prostituzione, ritenuta peccato, è detta ‘sacra’ se a gestirla è la gerarchia medesima.

A questo proposito nel medioevo la gerarchia cattolica crea e gestisce grandi postriboli, il maggiore è ad Avignone, sede temporanea del papato. Tale forma di prostituzione è comunemente detta ‘sacra’ e le donne che la notte vanno in quei luoghi a ‘lavorare’, durante il giorno devono stare in chiesa a pregare! Una volta che cessano la loro attività perché malate o non più giovani, sono abbandonate nella miseria più nera o rinchiuse a vita in convento a fare penitenza dei loro peccati, sorte che non tocca ovviamente a chi introita i ricavi delle prostitute, cioè all’alto clero, cui è vietato lavorare essendo nobili. In seguito, ai nobili cardinali della corte papale, composta anche di cortigiane (meretrici d’alta classe), è di fatto possibile avere rapporti sessuali di qualunque natura, ma è bene che non si sappia in giro: unica condizione è che non si sposino, poiché avere figli legittimi, quindi eredi, pregiudica gli interessi economici delle ’sante’ istituzioni, A Roma i bordelli, di cui un’alta % delle entrate va a favore dei cardinali titolari, perdurano fino al 1870.
Viceversa, il cristiano che insiste nel volere il rispetto del nuovo testamento o le cui idee non collimano con le dottrine del potere è ora qualificato ‘eretico’, ‘seguace del demonio’, la donna che esprime se stessa, ma non convince qualche dirigente, è trasformata in ‘strega’, l’ebreo, da perseguitare per definizione, è bollato ‘maledetto da dio’. È reso in pratica un clima di terrore, data la facile possibilità d’essere accusati. Per il potere, se da questo è voluto, ammazzare il prossimo non è reato.
Il senso di COLPA e la PAURA dei castighi su questa terra e nell’aldilà sono invece inculcati alle vittime e al popolo come arma per tenerlo soggiogato – generando con la violenza psicologica casi di nevrosi depressiva o di psicosi – e gli individui devono fare grandi sacrifici e penitenze per riparare ‘le colpe da essi commesse’.

Dopo il primo concilio cattolico (Nicea, 325 d.C.) fino alla metà del XX secolo non si parla mai nei documenti ufficiali gerarchici di amore scambievole, di presenza di Gesù tra persone unite nell’amore, delle sostanziali applicazioni sociali del magnificat. L’essenza del vangelo non è confacente al potere! A tutt’oggi il testo biblico italiano della CEI (conferenza episcopale italiana) annota che il magnificat è ‘un brano poetico … sul tema dei poveri e dei piccoli soccorsi a scapito dei ricchi e dei potenti’.
Anche Maria, la madre di Gesù, viene mitizzata (la nuova mitologia) e così la gerarchia, per accantonare il magnificat, riduce lei a modello di virtù sovrumane da imitare individualmente, nei limiti del possibile, ovvero a oggetto di pia venerazione attraverso … le sue statue e immagini materiali. Tra il IV e il V secolo il potere politico-clericale fa scrivere più documenti, in cui, con sfumature diverse, si racconta che gli apostoli, accorsi presso Maria ormai prossima alla fine, vedono a un tratto arrivare alcuni angeli che prendono l’anima di lei e, successivamente, trasportano il suo corpo in cielo. Tale ‘trasporto’ non è menzionato da nessuno scritto cristiano prima di Costantino.

LE DERIVAZIONI DAL CATTOLICESIMO

Il messaggio originale di Gesù contiene in sé gli strumenti per essere attuato e le prime comunità cristiane lo dimostrano: sono una cosa sola il messaggio e la vita, individuale e collettiva, che si realizza.
La confessione di Stato che nasce nel IV secolo, voluta e fondata dall’imperatore di Roma e dai suoi più stretti collaboratori del clero, punta invece a far credere a un Dio-formula, secondo definizioni teologiche teoriche elaborate da pensatori, e all’organizzazione gerarchica la quale deve gestire la devozione a questo Dio-formula, con una realizzazione pratica molto parziale (dove più dove meno) del messaggio originale. Come già visto, il Dio-definizione-astratta sostituisce il Dio della vita e chi non è pienamente d’accordo con quella definizione viene perseguitato; l’obbedienza sostituisce l’amore reciproco, mentre la gerarchia sostituisce l’ekklêsia.
La religione diventa così strumento del potere di chi si erge a rappresentante del Dio-mito (o Dio-muto) e della sua dottrina (lo stesso vale di un’ideologia) e porta ovviamente a divisioni e lotte (di potere) sia all’interno della confessione stessa sia delle confessioni (o delle ideologie) fra loro. E tutto ciò lo produce ovviamente anche il costantinesimo.

Corre l’anno 1054 d.C., l’imperatore d’Oriente Costantino IX Monòmaco considera, fondatamente, non valido il primato del vescovo di Roma e si stacca dalla gerarchia cattolica, ma costituisce una nuova confessione, l’ortodossia: Costantinopoli è proclamata la ‘nuova sede degli apostoli’ e l’imperatore assume il ruolo di sovrano religioso, ritenendo di essere lui il continuatore dell’opera degli apostoli e di essere superiore ai vescovi nella dottrina teologica. Riconosce una posizione di prestigio al patriarca della capitale bizantina, al quale però affida funzioni puramente rappresentative. La popolazione dei territori sottoposti deve diventare ortodossa. Ricordiamo che già dal 754 d.C. gli imperatori bizantini si autoproclamano ‘uguali agli apostoli’. Tale forma di potere è chiamata cesaropapismo.
Nel 1517 Martin Luther (Lutero) dà inizio in Germania alla riforma, che vuole recuperare la componente evangelica del cattolicesimo ed eliminare la corruzione della struttura gerarchica clericale. Egli è appoggiato politicamente da molti principi tedeschi, che cercano di rendersi indipendenti dall’imperatore: la riforma protestante si sviluppa in varie forme soprattutto nell’Europa centro-settentrionale, divenendo spesso anch’essa confessione di potere.
Nel 1534 il re Enrico VIII d’Inghilterra si stacca da Roma e dà origine a una nuova confessione: l’anglicanesimo, di cui si proclama lui capo supremo. Coloro che non accettano il primato anglicano sono condannati al rogo o alla decapitazione, nel migliore dei casi vengono privati dei diritti civili. I monasteri sono soppressi e le loro proprietà incamerate dalla corona, che a sua volta ne distribuisce una parte alla piccola nobiltà.
La chiusura dei monasteri, che dal medioevo assistono poveri o ammalati, costringe lo Stato inglese ad affrontare nel corso del Seicento il problema del pauperismo, mettendo in atto un sistema di assistenza sociale.
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È curioso che i monarchi, iniziatori di una nuova confessione religiosa, siano spesso violenti non solo verso i loro sudditi, ma anche con i propri familiari. È noto delle mogli fatte decapitare da Enrico VIII, meno conosciuti gli episodi di Costantino I, il quale fa giustiziare sua moglie, il figlio primogenito e il cognato, oltre a uccidere personalmente il suocero Massimiano. Che strane stranezze!
In generale, dal secolo XVI i potenti, tra cui i capi delle religioni di Stato, prendono a pretesto le differenti credenze: cattolica, protestante, anglicana, ortodossa, per scatenare l’odio reciproco, guerre, canagliate, persecuzioni.
Lungo il corso dei secoli XIX e XX la tolleranza religiosa o interconfessionale, promossa dalle rivoluzioni francese e americana, è accettata dalla maggioranza dei paesi che riconoscono, pur se in maniera più o meno parziale, il messaggio di Gesù.
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I SEMI DELLA ‘PAROLA

Vari imperatori romani dei primi tre secoli d.C., si è visto, combattono il cristianesimo come la peste, tentando di debellarlo a motivo delle sue implicazioni socio politiche contrarie al potere e dato il grande numero di seguaci che attira. I loro sforzi però risultano insoddisfacenti.
Costantino I (un non credente ‘devoto’ – ndr) con furbesca mossa non dà in realtà la libertà al cristianesimo, ma cambia soltanto il nome agli dei del paganesimo, lasciando questo quasi inalterato per il resto. Lui e i suoi successori vogliono far credere, anche con la violenza, che l’ordine gerarchico, la teologia, le regole e l’organizzazione propri della religione di Stato pagana (mutato ciò che c’è da mutare per la sostituzione degli dei con altri nomi e personaggi da venerare) facciano parte integrante dell’annuncio di Gesù. In altre parole il potere romano ristruttura il paganesimo e formalmente accoglie il cristianesimo, imponendogli grosse limitazioni, alterandolo e snaturandone l’essenza.
Dopo qualche decennio il neopaganesimo, verniciato di fresco e illustrato da una dottrina all’uopo suggestiva, diventa universalmente obbligatorio col nome di cattolicesimo e si dimostra un ottimo strumento di dominio.

Per quanto riguarda la vera ‘parola’ di Gesù (cioè il bacillo che provoca la peste di cui sopra) il grande Costantino persegue una diversa strategia: cerca di rinchiuderla entro solide mura, in modo che rimanga lì calcificata e intonacata sotto rigida sorveglianza e non abbia la possibilità di diffondersi, se non sotto forma di teologia – la nuova mitologia ristrutturata – avulsa dalla realtà quotidiana e pertanto non nociva al potere, anzi, lo favoreggia! Per non rendere accessibile ai laici il messaggio originale di Gesù, viene loro proibita la lettura del vangelo, imponendo gravissime pene a chi cerca di farlo o anche a chi soltanto tiene in casa tali scritti.
Con questi strumenti e strutture il potere politico religioso riesce, se non a eliminare, a tenere bloccato per qualche secolo lo sviluppo della parte essenziale del messaggio cristiano.
Missionari comunque sono inviati dalla gerarchia in molte parti del mondo conosciuto, i quali portano con sé alcuni di quei semi che restano nei cuori delle persone e crescono, anche se non possono generare strutture idonee, essendo queste continuamente soffocate fin sul nascere dalla gerarchia stessa.

LAICI E CLERO

Come detto sopra, Costantino sdoppia la struttura della religione pagana di Stato creando il clero cattolico (a scapito della massa dei fedeli) e le cariche di vescovo monarchico e di sommo pontefice. Il sovrano investe tale casta di superiori gerarchici, tutti suoi stretti dipendenti, del potere di decisione sui cattolici stessi, potere perfezionato con la caduta dell’impero. Fra i primi cristiani, invece, le decisioni spettano a tutta la comunità assieme, senza l’interferenza di capi o sacerdoti, per volontà esplicita di Gesù, essendo ciascuno alla pari sia uomini e donne sia liberi e schiavi.
Così, mentre fra i primi seguaci tutti sono chiamati santi, cioè ‘sacri’, giacché Gesù si identifica in essi, vivono l’amore scambievole, amano ogni prossimo, sono pronti a rischiare la croce, decidono tutti assieme sulle cose da fare e sulla distribuzione dei beni in sovrappiù, in modo che non vi siano bisognosi, per il cattolicesimo invece diventano santi oggetti o istituzioni (l’acqua santa, la porta santa, la guerra santa, la santa inquisizione, la santa regola, il rito sacro, l’edificio sacro, l’immagine sacra, ecc. e svariate di queste superstizioni pagane sono tutt’oggi divulgate dalla gerarchia) oppure pochi individui … purché già morti, appartenenti quasi esclusivamente al clero e assoggettati alle regole, norme e tradizioni dei potenti superiori.

I fedeli laici, invece, sono plagiati tutti come peccatori, quindi inetti! Infatti dal V secolo d.C. gli esseri umani sono considerati in peccato mortale fin dalla nascita, in seguito alla ‘trovata’ di Agostino riguardo alla trasgressione di Adamo: secondo lui tale colpa è anche dei discendenti, perché quel peccato si trasmette … col seme virile durante l’atto sessuale (è forse un virus?! – ndr). Il peccato originale essendo di per sé mortale, dichiarano solennemente i sommi pontefici dell’epoca, fa sì che i bambini che muoiono senza battesimo vanno all’inferno, per cui è necessario battezzarli appena nascono.
Il potere clericale non rende conto che neppure la più crudele delle leggi umane condanna per l’eternità dei neonati a pene atroci solo perché un loro antenato, tante migliaia di anni prima, commette uno sbaglio! Per ovviarvi ricorre a un escamotage inventando il limbo: per secoli i fedeli devono in via ufficiosa credere all’esistenza del limbo, ma tempo fa la gerarchia dichiara che non esiste. Come la mettiamo? La mettiamo … nella misericordia di Dio e ci rassegniamo al male del potere?
Queste dottrine purtroppo costano la vita nel corso dei secoli a innumerevoli donne, in particolare alle levatrici: se un bambino nasce morto o comunque muore prima di essere battezzato, significa che la levatrice, o la madre, è una strega, amante del demonio, che fa morire il bimbo, affinché questo (avendo in sé il peccato originale che è mortale) non possa andare in paradiso. Un caso eclatante è offerto dalla città di Colonia che per un lungo periodo resta senza levatrici, perché la superstizione religiosa dei capi – e la loro fobia verso le donne – per i motivi suddetti le fa uccidere tutte sulla pira, l’orrendo fuoco (allucinante, ma vero! – ndr).

Non basta. Se un fedele, in generale, pensa che vi siano contraddizioni tra il conformismo o l’indottrinamento voluto dai superiori e il messaggio di Gesù, il fedele è in peccato mortale, lui, e non i superiori clericali, i quali sono degli eletti, diciamolo, per appartenenza alla casta migliore. Ma Dio non ha alcun bisogno di una casta che lo rappresenti; il potere invece sì!
Al posto del Dio dei cristiani che vuole, nel campo sociale, liberare l’umanità dal dominio del potere gerarchico, dalle pastoie dell’odio, dell’indigenza, dello sfruttamento, della sottomissione, dell’intolleranza, delle superstizioni, della divisione e della discriminazione, i sommi sacerdoti di Roma ‘creano’ un dio che viene per salvare nell’aldilà l’anima degli esseri umani, essendo questi tutti peccatori qui in terra (secondo loro), per cui il Maestro è morto per colpa dei nostri peccati e non per colpa dei capi al potere. È il depistaggio classico, che incolpa il popolo degli errori o dei crimini commessi dai capi. Repetita iuvant: Luca scrive che i sommi sacerdoti e i nostri capi lo consegnano per farlo condannare a morte e crocifiggere.
In tal guisa è ostacolata o negletta la concretizzazione delle strutture socio economiche e della libertà democratica portate da Gesù, eccetto piccole realizzazioni che non possono risolvere ovviamente i problemi di tutta la collettività.
Fra i pochi del clero qualcuno emerge – superando con la vita leggi e norme restrittive – o per la forte personalità o per le azioni ispirate a Gesù e volte spesso a particolari problemi sociali: basti pensare a tanti operatori di bene e in tempi recenti, sotto questo aspetto, a Teresa di Calcutta. Il fatto di dover fare i ‘voti’ riduce a una cerchia ristretta gli addetti a una specifica attività.
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Soltanto la ‘riforma’ e le rivoluzioni popolari successive, con l’eliminazione dei legami religiosi di origine imperiale, rendono possibile ai laici di realizzare nel tempo uno sviluppo sociale più diffuso. In definitiva il lievito della Vita portata da Gesù permea lentamente lungo i secoli strutture e persone di ogni genere, credenti o non credenti, ma soprattutto, è bene sottolinearlo, del campo laico e civile.
Nel XX secolo – torniamo in ambito cattolico – sorgono vari movimenti ’laici’ che riscoprono e vivono concretamente alcune parti del vangelo e hanno un seguito relativamente notevole, anche se vincolati da norme disciplinari proprie del potere come: l’obbedienza ai superiori che, alla lunga, sempre più avvilisce o uccide lo spirito originario, sostituendolo con l’uniformità (cosa diversissima dall’unità nell’amore), la destinazione dei beni che se all’inizio è per gli economicamente poveri, col tempo è sempre più a favore di costruzioni per la dirigenza e per la formazione di questa (con un tale sistema diviene deformazione) e la dipendenza da una casta clericale distinta le cui strutture costantiniane non sono adattabili alla Verità della buona novella (occorrono otri nuovi per il vino nuovo).
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NOTA: – Assai spesso la proprietà delle suddette costruzioni, pagate col contributo dei membri e con offerte di fedeli, è immediatamente acquisita dal Vaticano. Secondo dati recenti riportati dai media, oltre il 10 percento del patrimonio edilizio in Italia è di proprietà del Vaticano o di gruppi religiosi; in particolare nel centro storico di Roma tale percentuale raddoppia. Il popolo vuole che l’Italia diventi un feudo dell’alto clero?
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All’interno delle collettività ufficialmente riconosciute dal Vaticano, i giovani, che credono alla consacrazione proposta, portati dall’entusiasmo o dall’inconsapevolezza, sono alquanto sfruttati e vengono a essi tolti con molto tatto i loro proventi e risparmi, di cui benefica quasi esclusivamente la direzione gerarchica. Il quarto comandamento e i membri dell’altro sesso sono indirettamente sminuiti, come del resto succede nella formazione del clero (confrontare ad es. Mt 15,3-6).
Le ragazze non portate alla dirigenza sono assoggettate sia fisicamente, con snervanti lavori esecutivi, sia psicologicamente: devono osservare strettamente regole formali, recitare orazioni o formule ripetitive, non devono pensare, ma obbedire serenamente solo ai loro ‘dirigenti’, mentre è soffocato in tutte, con argomentazioni varie, il naturale istinto e affetto materno. Questo bloccaggio del pensare riduce fisicamente le connessioni dei neuroni cerebrali, portando gli individui, a volte, a un livello d’intelligenza da tredicenni supinamente sottomessi ai superiori oppure a uno stato di depressione nervosa altalenante (lo stesso succede in ogni campo ove il potere esige l’obbedienza assoluta: ad esempio, presso i marines USA la metà dei sopravvissuti alle sofferenze della guerra, segnati dalla delusione per il raggiro subito credendo di operare per il bene, soffre di gravi disturbi nervosi, di disadattamento patologico alla vita familiare o lavorativa. L’analogo accade al 33% dei soldati che combattono in Afghanistan. La struttura gerarchica deve tenere sottomessi e in povertà altrimenti non può esercitare il suo potere – ndr).

Ai movimenti è necessaria una maggiore unità fra loro, cioè possono considerare, alcuni già lo fanno, le proprie differenze come perle di una stessa collana, sia mettendo in comune i beni in sovrappiù per i veri bisognosi sia operando per la liberazione di questi dall’oppressione dei potenti sia donandosi l’un gruppo con l’altro, a livello di base, le esperienze sull’amore, quello vero, accogliendole come espressioni diverse di uno stesso corpo.
Il clero è in crisi. Dal 1950 a oggi è diminuito del 60%, sterilizzato dalla repulsa d’un sistema superato, da istituzioni che bloccano la vita originaria, dallo stress psicologico provocato dalle regole gerarchiche [Paolo con acume osserva: “tali regole uccidono lo spirito”. L’amore verso il prossimo supera le regole e gli ordini impartiti], dal controllo (o lavaggio) del cervello, dall’obbligo del celibato (alias aborto canonico) e poi dal benessere dei paesi occidentali. Difatti molti sono attratti a entrare nel clero, oltre che per motivi religiosi, anche per il fatto di non dover più lottare al fine di sfamarsi, com’è invece costretta una grossa parte della popolazione mondiale.

Dal punto di vista del prestigio del pontificato fuori dell’ambito cattolico, ridotto al minimo nell’Ottocento, si può notare un parziale recupero dopo il concilio Vaticano II, per l’accento dato alla componente evangelica o a quella spirituale del cattolicesimo.
Ma negli ultimi decenni infiltrazioni abbastanza consistenti nei posti chiave della curia romana e di varie sedi vescovili di simpatizzanti neocon, evidenziano la componente pagana e non democratica del cattolicesimo, mediante un’ulteriore centralizzazione delle decisioni e una vicinanza all’afflato di poteri forti, fondamentalisti in fatto di religione (anche protestanti) e giustaguerrafondai. In tal modo il pontificato difende il suo potere costantiniano-teodosiano, e non assolutamente il cristianesimo, il quale non ha bisogno di quei mezzi, ma li rifugge totalmente (d’altronde, vedere nota precedente, il Vaticano è proprietario di moltissimi palazzi, centri commerciali, alberghi anche di lusso, luoghi sacri, complessi sanitari, università, ecc. in Italia e all’estero, che gli conferiscono un potere non indifferente, con le tipiche conseguenze).

Al cattolicesimo possono essere fatti sinceri auguri che sappia liberarsi dall’ormai incartapecorita componente ereditata dall’impero romano, la vera ‘donazione’ di Costantino, e possa invece realizzare pienamente l’essenza della Vita e del messaggio sociale portati da Gesù; una conversione che allo stato attuale ha da superare ostacoli rilevanti. La componente suddetta è comunque destinata a cadere, allorché si ha la presa di coscienza dei fedeli.
Il monarca pagano e Teodosio rivelano e insegnano all’alto clero come si regge con astuta diplomazia e capacità organizzativa un impero, ossia una classica struttura gerarchica di esseri ‘superiori’, che debbono mostrare all’esterno il loro costoso prestigio, espressione del potere, e di esseri inferiori, tenuti con serenità disuguali e sottomessi e possibilmente poveri, sia pure con la violenza.

Il cristianesimo non è questo, è la Vita di tutti i cristiani uniti nell’Amore, è la comunità d’amore del magnificat, dove tutti sono fratelli, esseri umani accanto a esseri umani alla pari, dove la decisione ultima è un diritto di tutti, è presa insieme, e la distribuzione dei beni in sovrappiù, investimenti a parte, va per il lavoro ai meno abbienti e per le necessità che sono ritenute tali dalla comunità stessa.
Nel cristianesimo originario vale la vita-amore, amore scambievole e amore verso gli ultimi e gli emarginati, e coloro che esplicano delle funzioni sono eletti da tutta la comunità in base a chi più vive tale realtà. Il cristianesimo è condivisione, è vita concreta, non è una successione monarchica, né è esecuzione di cerimonie formali, né espressione di potere precostituito o istituzionalizzato.
Non va confuso ciò che è di Dio con ciò che è di Cesare – cioè dei capi e dei potenti – non si devono spacciare per manifestazioni di Dio quelle che sono manifestazioni di Cesare. D’altro canto il potere che arricchisce l’alta gerarchia uccide l’anima, constata Ilario di Poitiers (315-367 d.C.), mentre Gesù afferma che “non si possono servire due padroni”: o si serve il Dio dell’Amore e dell’Uguaglianza oppure ci si asservisce al potere – civile, politico o religioso che sia – dato dalla ricchezza (mammona, vale a dire la plutocrazia).

RIFLESSIONI SULLE DEFINIZIONI TEOLOGICHE

Imporre delle definizioni teologiche di Dio è un po’ pretendere che Dio possa essere racchiuso in una formula letterale.
Egli, per chi crede, va oltre alla definizione stessa e anche a quella contraria, sicché le comprende entrambe. Ad esempio Dio è infinitamente oltre sia alla formula trinitaria sia a quella unitaria.
Varie volte opposte fazioni religiose, politiche o culturali, desiderano raggiungere finalità analoghe che chiamano con parole diverse, tanto che per molto tempo lottano fra loro finché non si accorgono che i concetti di fondo sono simili. Anche cristiani e atei, se vivono l’Amore, sono nella volontà di Dio, che è la Vita concreta, non chi dice: “Signore, Signore”.
Tali paradossi si verificano perfino nel campo scientifico: è conosciuto da tutti il caso Galileo. La gerarchia dichiara che il sole e i corpi celesti girano tutti attorno alla terra e chi afferma il contrario nega una verità rivelata da Dio. Galileo osserva col suo telescopio che la terra gira attorno al sole e che vi sono dei satelliti, ohibò, che ruotano attorno al pianeta Giove!
Lo scienziato, torturato, è costretto ad abiurare per non essere arrostito vivo e così la pena è permutata nell’ergastolo domiciliare. Ma Galileo, ormai privo della vista, non può scrutare il cielo con i suoi occhi peccaminosi.

Chi è il vero eretico?
Eppure per quanto riguarda la terra e il sole, sia Galileo sia i teologi dicono la stessa cosa con parole diverse: infatti nell’universo ogni corpo celeste è in movimento, per cui nulla si può ritenere fermo. Per osservare il moto noi possiamo considerare convenzionalmente un punto di riferimento come fisso, quale un corpo qualsiasi al di fuori o all’interno della nostra galassia oppure il sole o la terra o altro. Quindi Galileo e i teologi descrivono lo stesso fenomeno, prendendo però, inconsapevolmente, punti di riferimento diversi.
L’eresia e il male stanno nell’intolleranza e nella persecuzione del potere verso chi manifesta opinioni differenti. Con Shakespeare, così possiamo esprimerci in proposito: “eretici non sono coloro che bruciano nel fuoco, ma coloro che ordinano di accendere la fiamma”.
Su queste cose si può divagare e rivoltare la frittata: ai tempi di Galileo la gerarchia sostiene che il sole gira attorno alla terra, perché Dio dispone così, ed è eretico chi afferma il contrario. Ma se in realtà è la terra che gira attorno al sole, vuol dire che Dio dispone così ed è eretico chi afferma il contrario: dunque è la gerarchia, che, teologicamente parlando, diventa la vera eretica. E lo mostrano i fiumi di sangue che nei secoli fa scorrere, e non solo lei, attorno alla terra.
Il più grande numero di Cristiani fatti uccidere nel mondo, in oltre un millennio, è ottenuto per ordine dei massimi esponenti della gerarchia cattolica! Altro che rappresentanti di Gesù. Ma loro si definiscono così … da quando il pagano imperatore Costantino ordina perentoriamente di dire così al suo cortigiano, creato primo sommo pontefice, nel IV secolo d.C., dallo stesso imperatore.

SCHEDA SINTETICA DEL CATTOLICESIMO

Da quanto illustrato il cattolicesimo risulta dal miscuglio di due componenti, di due ‘anime’: una d’origine pagano-imperiale e una d’origine evangelica, confuse insieme per tenere a sé le persone, attirandole con alcuni valori del messaggio cristiano e quindi propinando loro le alienazioni del potere come parte integrante dello stesso messaggio. Pertanto i punti basilari sono alcuni della scheda 1 (vedere Parte I) più quelli della scheda 2 (vedere Parte II), come riporta la scheda 3, con la prevalenza – maggiormente ancora nei secoli passati – delle condizioni della componente imperiale.
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Scheda 3 – Punti base del cattolicesimo
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Punto base: Il rapporto dell’individuo con l’ideologia
Componente cristiana: Amore che è vita.
Componente imperiale: Sacrificio, verginità, atti e riti formali, culto di immagini, tutti peccatori fin dalla nascita, mitologia (o teologia) dogmatica.

Punto base: Rapporto delle persone fra loro
Componente cristiana: Rispetto dell’altro, amore scambievole (in alcuni casi).
Componente imperiale: Obbedienza e inquisizione, che generano uniformità, paura, sottomissione, senso di colpa.

Punto base: Rapporto comunitario
Componente cristiana: Aspetti di giustizia sociale, opera di assistenza, intermediazioni per la pace.
Componente imperiale: Struttura gerarchica: produce discriminazioni, conflitti, bisogno, clericalismo, persecuzioni, nevrosi, condanne a morte nel nome di dio.
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CONSIDERAZIONI FINALI

L’amore scambievole genera l’unione; l’obbedienza produce l’uniformità.
L’unità esprime la libertà; l’uniformità significa sottomissione.
L’uguaglianza genera giustizia, pace, benessere; la struttura superiori/inferiori produce molte situazioni d’ingiustizia, guerre, indigenza.
In altre parole, nel campo sociale, l’autorità è espressione della democrazia; ogni potere è manifestazione di un dispotismo più o meno alienante.
Tutto ciò, espresso in termini religiosi, suona così: l’autorità viene da Dio; il potere è spesso manifestazione del male (del maligno).
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Nelle pagine precedenti vediamo che Gesù si identifica con gli inferiori, con gli affamati, coi poveri, con gli ammalati abbandonati, con i perseguitati, coi bambini, allora considerati nulla, con gli emarginati di ogni tipo (per cui Gesù è rappresentato dagli ultimi nel campo sociale).
Ma quali sono le cause di tali ingiustizie sociali? Egli le riconosce nel potere opprimente, e pertanto lo condanna aspramente. Ma il potere a sua volta su quale ossatura si regge? In altre parole, qual è il DNA che lo identifica e lo rende operante in tale maniera? Qual è il suo DNA, responsabile della trasmissione ed espressione del suo carattere logorante?
Oggi sappiamo che il DNA degli organismi viventi è una struttura organica detta ‘a doppia elica’. Anche il potere ha un suo ‘DNA’: il DNA del potere è la struttura gerarchica. È la struttura gerarchica istituzionalizzata.
E qual è il DNA del messaggio di Gesù? È l’autorità della comunità. È la sovranità del popolo istituzionalizzata (in questo documento usiamo anche il termine ‘sovranità del popolo’ per seguire il linguaggio d’uso comune, l’espressione più appropriata è ‘autorità del popolo’).

Da quanto detto, nel campo sociale risultano tre aspetti o livelli:
a = l’esistenza di bisognosi e di discriminati;
b = la causa di tali ingiustizie;
c = il DNA profondo che permette questo stato di fatto.

Il messaggio cristiano tratta il punto ‘a’ sia riconoscendo ‘Gesù’ in ogni prossimo (e quindi amandolo concretamente), soprattutto nei poveri, negli scartati, negli indifesi sia ripartendo la ricchezza comune in sovrappiù in modo che non vi siano bisognosi.
Il punto ‘b’ lo affronta nella Verità, denunciando il danno prodotto dalle strutture opprimenti del potere.
Il punto ‘c’ lo risolve con l’istituzione fondante della decisione ultima che spetta a tutta la comunità assieme.

L’impero romano e la religione pagana non si preoccupano granché del punto ‘a’.
Il punto ‘b’ lo affrontano imponendo delle suggestioni che poco hanno a che fare con la Verità.
Il punto ‘c’ è dato dal DNA del potere assoluto.

Nel 1970 d.C. iniziano gli esperimenti di ingegneria genetica. Fra le altre cose è possibile togliere da una cellula organica il suo DNA congenito e sostituirlo con il DNA di una cellula di un organismo diverso. Se la manipolazione riesce, dà vita a un nuovo organismo che possiede i caratteri dell’essere che ha donato il suo DNA, con alcune varianti simili o somiglianti all’organismo dell’essere che dà la cellula svuotata.
Costantino fa questo, precorrendo i tempi, nel IV secolo d.C.: svuota il messaggio sociale cristiano del suo DNA naturale (l’autorità del popolo) e vi inserisce il DNA del potere gerarchico politico-religioso dell’impero (per cui Gesù è rappresentato dai ‘superiori’), generando un ‘nuovo’ organismo sociale, il cattolicesimo, che eredita le caratteristiche strutturali della potenza imperialistica (punto ‘c’), impone delle suggestioni che sovente hanno poco a che fare con la Verità (punto ‘b’), mentre ha alcune somiglianze nel punto ‘a’ col messaggio cristiano, attraverso l’amore, individuale, per il prossimo e con opere di bene. In queste condizioni il punto ‘a’ purtroppo è a volte usato come specchietto per le allodole per far ritenere che tutto il nuovo organismo sia il messaggio di Gesù. Con tale alchimia l’impero dà inizio alla religione più ‘potente’ per il controllo del mondo occidentale.

IL COMPITO DI CHI VUOLE REALIZZARE L’ESSENZA DEL MESSAGGIO CRISTIANO OGGI, SIA EGLI CREDENTE O NON CREDENTE, È DI RIPRISTINARE QUEL DNA ORIGINARIO NEL TESSUTO SOCIALE: L’ISTITUZIONE DELL’AUTORITÀ DEL POPOLO.
È L’OPERAZIONE PIÙ IMPORTANTE E NECESSARIA.
LA DEMOCRAZIA DIRETTA RIVELATA DA GESÙ È L’IDEALE SOCIALE CHE VALE PER TUTTO E PER TUTTI, NON SOLO PER POCHI PRIVILEGIATI!

Costantino I° perde la grande occasione: quella di adottare una nuova forma di democrazia diretta politica ed economica nei suoi territori – portata dal cristianesimo – che può innescare un’evoluzione ammirabile nel sistema sociopolitico. Roma in tal modo sarebbe diventata un nuovo faro di civiltà per il mondo conosciuto. Lui invece preferisce affossare la democrazia voluta dal Nazareno. Ma la democrazia è un organismo vivente composto dai cittadini e come tutti gli organismi viventi se non si evolve si estingue, e così avviene. L’impero decade sempre più fino a rovinare e scomparire, mentre subentrano parecchi, troppi, secoli di oscurantismo, che fa perdere all’umanità la possibilità di un prezioso progresso culturale, sociale, umano, scientifico, politico e, ovviamente, democratico.
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ATTENZIONE: quanto analizzato fin qui sul potere dell’istituzione gerarchica, sui mezzi usati per esercitarlo e sui gravi danni che ne derivano ai cittadini, mutatis mutandis, vale per qualsiasi forma di potere gerarchico sia esso laico o religioso, politico o economico, monarchico o repubblicano, rappresentativo o militare, nazista o comunista, capitalista o populista. Difatti, senza andare nei secoli passati, nei sistemi di potere dal Novecento a oggi, come le dittature nazifasciste, quelle comuniste, quelle del terzo mondo sudamericano, asiatico o africano e, a volte, come nei paesi a democrazia rappresentativa, sono registrati sottomissione, massacri, persecuzioni, tecniche di costrizione psicologica, caccia ai sospetti, torture, paura, condanne capitali, morte per migliaia e migliaia di esseri umani, limitazioni opprimenti della libertà e dell’informazione, ingiustizie.
Ogni potere fa grandi sforzi pur di apparire come autorità e svariate persone, spesso in buona fede, vi credono. Dobbiamo operare un cambiamento, bisogna arrivare all’emancipazione. Chiunque può fare la sua parte per quanto possibile, affinché abbia corso la naturale evoluzione sociale.
Nelle confessioni d’ispirazione biblica e nelle altre religioni sono presenti ‘semi’ della parola di Gesù e anche su questi possiamo puntare per trovare una collaborazione solidale con i loro membri, per vivere insieme una comunità più avanzata. Con buona parte delle organizzazioni civili e con tutte le popolazioni possiamo collaborare e raggiungere una presa di coscienza della potenzialità che abbiamo.
Dobbiamo sapere quali capacità possediamo uniti, col messaggio della ‘dignità regale’ fra noi, vale a dire, in termini laici, della sovranità diretta del popolo (il DNA di cui sopra).

Occorre realizzare ovunque con l’apporto di noi tutti lo strumento nuovo, l’istituzione giuridica nuova: l’autorità del popolo; in tal modo facciamo grandi progressi e conquistiamo altri traguardi nell’evoluzione democratica della società umana.
È bene educare e formare ai valori della democrazia avanzata, alla libertà, alla ricchezza della partecipazione diretta immediata, alla collaborazione e cooperazione, all’economia sana e solidale, alla gestione efficiente dello sviluppo, alla bellezza della diversità. Ci si senta compartecipi di tutto, fino a che in ogni parte del mondo si sviluppi, si strutturi e si conquisti la comunione dell’uguaglianza del magnificat, si generi un solo Amore nella diversità di tutte le persone: ciascuno diventa un dono l’uno per l’altro, tutti si sentono a loro agio nella libertà.
Si è cominciato. Col presente studio e con la nostra azione vogliamo dare un contributo all’opera di tanti nel mondo per l’attuazione di questa Idea.
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L’ANNUNCIO DI GESÙ E LA VITA DELLE PRIME COMUNITÀ CRISTIANE APPORTANO UN CONTRIBUTO DETERMINANTE ALLE IDEE E CONQUISTE SOCIALI SIA DEGLI ULTIMI SECOLI SIA DEL PROSSIMO FUTURO.

GLI SVILUPPI DELLA DEMOCRAZIA CHE NE CONSEGUONO SONO ILLUSTRATI NEGLI ALTRI ARTICOLI INSERITI NELLE ‘CATEGORIE’ DI QUESTO SITO.

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2 commenti

  1. Sappiamo che nell’antichità i capi, cioè i sovrani, si autoproclamavano Dei, e, in seguito, “sovrani per volontà di Dio”. Ora esplicito dei fatti che non sono noti, perché nessuno ne vuole parlare. Quando Gesù è venuto ha dichiarato: “I capi delle nazioni, lo sapete, decidono su di esse e i potenti esercitano su di esse il loro dominio; tra voi questi non ci devono essere”. “In verità vi dico, ogni cosa che la comunità tutta insieme approva sulla terra è approvata anche in cielo e ogni cosa che essa respinge sulla terra è respinta anche in cielo”. Ossia, per Gesù, la volontà di Dio viene espressa dalla decisione di tutta la comunità, non dai capi o dai “superiori”. Ma questa è democrazia! È la sovranità del popolo, che San Paolo chiama “dignità regale” di ciascuno.
    Tutti possono votare, dall’ultimo schiavo alla persona più importante, alla pari: “gli ultimi sono i primi” (da notare che nella democrazia dell’antica Grecia erano esclusi dal voto gli schiavi, la plebe, le donne e le classi sociali inferiori).

    L’apostolo San Pietro conferma: “Non bisogna obbedire agli individui, ma solo a Dio”, cioè all’Amore, nostro Padre (il nostro Papà), per cui noi siamo tutti fratelli, alla pari. San Pietro ratificava le decisioni della comunità, non comandava sugli altri. Per tali ragioni San Paolo può affermare: “Noi non padroneggiamo su di voi, ma siamo collaboratori della vostra gioia”. E alla fine aggiunge: “Allorquando sono annientate tutte le strutture di potere e le forme di dominio … abbiamo la pienezza dei tempi”.
    Dato che tutta la comunità può decidere sulla distribuzione della ricchezza, fra loro non vi sono più poveri. Scrive l’evangelista San Luca: “La moltitudine dei credenti è un cuor solo e un’anima sola e fra loro non ci sono indigenti”. Molti, vedendo come si amano scambievolmente, credono a essi, e i cristiani, per la testimonianza che offrono e per la loro ammirevole struttura sociale, ogni giorno di più si moltiplicano.

    È una rivoluzione sociale! Le realizzazioni democratiche del cristianesimo originario, e l’elevato numero dei seguaci, suscitano un enorme timore negli ultrapotenti imperatori romani (Diocleziano dichiara che minano le strutture stesse dell’impero), i quali ordinano perciò continue persecuzioni fino al IV° secolo d.C., quando l’imperatore pagano Costantino opera l’insabbiamento totale della democrazia diretta dei primi cristiani, in cambio di un riconoscimento della libertà di culto (formale) ai cristiani stessi, dando inizio inoltre al credo in una teologia della vita, però dell’aldilà (sopra le nuvole). Da allora e per oltre mille anni della democrazia diretta non si può più parlare, pena il rogo, e l’imperatore la sostituisce con una gerarchia clericale da lui voluta.
    Tutto ciò è ampiamente illustrato nella terza parte di questa categoria.
    Per inciso ricordiamo che ancora nel 1907 d.C. il sommo pontefice Pio X° condanna, purtroppo, la democrazia sia negli Stati laici sia nell’organizzazione ecclesiastica: significherà aprire la strada alle dittature di tipo fascista.
    Facciamo gli auguri affinché la gerarchia riscopra la bellezza del cristianesimo originario e che tutti, cittadini italiani e non italiani, la riscoprano.

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